Simeone!

Categoria: arte Pubblicato: Martedì, 25 Novembre 2014 Scritto da Super User

Simeone!

Ovvero, del filo narrativo tra Mito, Realtà e Storia.

di Francesco Pasca

 

Chi mi ha parlato recentemente di un ispanista, di Oreste Macrí? No, non importa saperlo, desisto dal ricordarlo o chiederlo. In un parlare frettoloso non si comprendono i particolari di quella citazione, anzi si dimenticano ed è meglio. Ho, è rimasto comunque un vuoto, la necessità di scorrere lungo quel filo lasciato nel mio remoto pensiero e ne scrivo.

Il vuoto di un perché. Nei giorni passati l’opportuno è stato prendere, leggere di Simeone. Preciso meglio il tempo. Al Fondo Verri, Lecce via s. Maria del Paradiso, si tenne un incontro con Massimo Sani, uno dei registi documentaristi del cinema storico italiano. Mauro Marino fu con Maurizio Nocera l’organizzatore di quell’istruttivo incontro conclusosi nell’altrettanto utile e con lo storico documentario che, per detta di Massimo Sani, in una “strana” e voluta disputa fra l’Italia e il “resto del mondo” per diritti di copyright, la Germania nel XX ’69 se n’era infine accollato l’onere di pubblicare e trasmettere in etere. Di quello “strano” contendere ne ho, naturalmente, compreso le ragioni. Tutte italiane.

Al termine della visione ebbi a lanciare una provocazione. Ma non si rivelò fruttuosa. Non fu colta per la mia non del tutto ortodossa introduzione al problema. Oggi, nel tentativo di riacciuffare il maltolto o meglio il maldetto mi cimento per la seconda volta. Dapprima parliamo quindi di Storia e di chi fa Storia e anche di come si fa Storia ed ancora come ci si arriva alla Storia.

La nota “dei come” e “dei chi” si farebbe lunga, lascio ad ognuno di noi la facoltà di sopperire con una qualsiasi di altre specificazioni.

Per quel che dirò, sicuramente, la nobile Signora Storia si mostrerà con i suoi anni e con tutti i meravigliosi difetti, con quel che prima era stato nascosto dal fondotinta della scrittura per le scelte e del poi suo raccontarsi, con il mostrarsi a noi nuda o vestita con il solito abito dell’Imperatore. Rileggere quella Storia non è solo studiare per ricordare.

Non ho mai amato prendere appunti, ho fatto sempre conto di quel che ho poi ricordato. La certezza è stata in un quel che si riannoda e ch’è utile d’attenzione. “Il resto è noia, noia, noia.” In quella serata al Fondo Verri, il documentario intervista con l’altra Signora, la Letteratura, s’è a me presentato nel bianco e nel nero, con quel che solo un non colore può dare. Certamente non per sola colpa di chi documenta in fatti ed immagini. Il Sani ha dovuto certamente avvalersi di documenti, di ciò che all’epoca erano stati o erano i “visibili”.

Chi ne documentava o poteva con gli altrettanti?

La verità storica sembrerebbe salva? In die unaussprechliche wirklichkeit (trad: nell’ineffabile realtà) del 1969, della realtà era a me evidente il bimbo buttato con l’acqua “sporca”. Non occorreva parlarne? Visitare una “Città” non è andare esclusivamente al Centro ma in periferia dov’è il ritenuto e il voluto “degrado” e non occorre alcuna giustificazione per non sentirsene colpa. Mah!

In una Storia in Bianco e Nero vuol dire trovare anche Luci ed Ombre per dispute letterarie e premi da far sorreggere impalcature rigorose e schematiche e nell’essere e nel convincerci di un solo modo di esistere, essere Letteratura, Cinematografia, Documentario. Gli Autori dal post|guerra con i neorealisti e le neoavanguardie sono a me giunti in visione per essere sempre al presente mai al passato. Non è, ripeto, un appunto “totale” all’autore so bene ch’è un nostro modo di fare, soprattutto se l’attingere è dal passato. Se vogliamo differenza però vi è da dire. Gli autori siano essi stati poeti o narratori, invece nella differenza lo sono, questa volta nell’ahimè, nelle presenze ingombranti come le monografie, anche per chi le ri|legge.

Nel Vecchio di chi guarda per il Nuovo sono sempre anche le immagini perché esse continuano a presentarsi al presente e dicono di essere la Storia. Mi sta bene se sono quella Storia. A volte guardare e sentire non è molto diverso dal possedere uno dei Tanti Tomi sulla Letteratura Italiana, sia essa per essere stata divisa o frazionata in cicli, per guerre, per generi o per volute plurime divisioni. Leggere un testo, visionare la Storia è sembrato sempre percorrere l’utile di una strada altrui, mai sentirsi come parte dei tanti che sono Fiumana di un Pelizza da Volpedo.

Per la Storia raccontata in visione non si è né giovani né vecchi, tantomeno ci si sente adolescenti o neonati, magari si è solo per essere divisi per sesso o convinzioni religiose o sessuali. Per quella Storia non valgono le Costituzioni ma i premi letterari, le conventicole dei gruppi storici, le agenzie letterarie delle Case Editrici. Discussioni del tipo, qual è la sorte del personaggio nel racconto trovano e hanno trovato poca strada da percorrere. Essere l’eretici dal monosillabo all’endecasillabo o ancor più precisare il risiedere per fasce territoriali e di costume non diventa l’indispensabile per una letteratura. D’altronde tutto “parrebbe” iniziare con Dante la cui colpa è stata di essere Toscano e di aver lasciato ad altri il lavare i panni in Arno, oppure d’essere lingua nata comunque nella prima metà del XIII secolo per scuola siciliana, meglio se ricondotta alla nobile origine di un Federico II o ancora, per me, essere lo splendido esempio di quel nascere, l’essere gemma in un Cantico delle creature di un fraticello a nome Francesco dimorante in quel d’Assisi e con il pensiero all’Oriente.

Per dirla oggi all’unisono. Quell’Unità di Italia politica tanto reclamata non ha versato per argini di letteratura.

Non viene fuori dagli argini, per la nostra Signora Storia. Però vi è stata e magistralmente non esondata in una buona triangolazione tra Centro-Nord-Sud i cui generi letterari fecero, fanno tutto il resto per la produzione poetica sia essa stata da considerare in origini da un volgare romanzo, il siciliano, così definito da Dante nel “De vulgari Eloquentia” o per scriver o essere di romanzo, cinema neo realista, ermetico di prima seconda o terza generazione, rigorosamente nordico. L’esser scrittore è sembrato il legame del comunque essere unito con l’editore. Ricordiamo che fu lo scriver d'amore e sembrò essere la maniera come immergersi nel nuovo “volgare” nonché saper periodare con il latino di Ovidio, Virgilio, etc.

Abbiamo saputo da bravi lettori attendere la Nobil|Signora, La Donna Bella|Bella dalla Lingua Buona, la Nuova nell’indispensabile, quel che si era attesa sin dal quando si sperava nell’ “emancipazione”, completamente. Detto questo parrebbe la Vera Storia, dell’altra Signora, della Signora che sceglie il chi scrive. Si sono per l’uopo fatti nomi e date. Si sono, di fatto, scelti i nomi. Ma quando i nomi diventato tanti e troppi scegliere diventa difficile, ricondurre ai principali ancor più arduo. Il personaggio del racconto non ne avrebbe avuto bisogno se per esistere ha dovuto spegnere il suo ultimo desiderio in un fondo pagina o abbia rischiato di sparire.

Il dunque è che c’è stata, ma è da sempre, una sottile polemica nel Salento. S’ebbe a ripetersi per un nome, nel tempo soprattutto corrente, per un sentire “nostro” e non di “tutti”, il Simeone con il suo amico Vittorio. Lo è stato anche per un rinascimento tutto meridionale, per il Galateo. Nel cerchio ristretto degli studiosi, studiare a Lecce non è stato studiare in una delle tante Città Universitarie. Antonio De Ferrariis e i tanti “Simeone” hanno avuto certamente il meritato riconoscimento ma, si sa, riconoscere nel mondo della globalizzazione vuol dire anche avere visibilità. Per carità di Dio non quella dell’etere dove si alternano scrittori e premi letterari ch’è meglio non citare in nomi e cognomi. Nel fare cultura trasversale e non piramidale è avere la visibilità che non passa attraverso la cultura dell’oggi globale circoscritta all’Università di appartenenza, quindi, occorre essere nei testi di studio, non solo specializzati e vuol dire anche aver ri|conoscenza letteraria da Unità d’Italia e se volete anche di Unità Europea, ma non solo per l’esser menzionati o tanto per citare dei nomi.

La questione meridionale, voluta anche in letteratura, non è mai esistita, è tuttora un alibi, meglio è, chiamarla “questione locale” che non riesce a proiettarsi dal suo recinto. Ma, scusate, avevo iniziato a parlare di Simeone e mi son perso. Meglio riprendere. L’episodio principe della predisposizione è mettersi sul percorso di quel che mi è stata, sembrata la mia identità territoriale, da spalmare su tutto il territorio nazionale. Vorrei, personalmente, ritrovarmi sempre e comunque nel filo narrativo tra Mito, Realtà e Storia. Non è un particolare insignificante, né lo è stato nella mia vita di studente a Firenze, in quel sentire odore di Caffè “giubbe rosse” e non per esser di Quarto per Marsala, ma per passaggi improvvisi e non meditati, solo perché campeggiava anche il nome di Simeone.

Sembra alla fine di aver parlato veramente poco dell’Oreste Macrì. Fra le righe credo di aver messo il poco e non il tanto nonché aver “non dettato” il motivo di questa mia divagazione. Per concludere e rifarmi in scrittura proporrò l’attenta lettura di un testo emblematico di Simeone, ch’è, e la dice e tanta, anche del saper essere e stato fine scrittore dall’umorismo|filosofico|graffiante. Chissà se a leggerlo ci si pensa.

Dal racconto Esploratori di Oreste Macrì.

“… -Per cortesia avete un po’ di fumo? (Per chi conosce l’originale battuto a macchina, la correzione è stata fatta su: “Per cortesia, ha un cerino?”)

Eh sì, un “po’ di fumo?” è meglio. Parrebbe sentirlo nell’animo il Simeone, si sarà scosso per il suo modo d’essere intellettuale creativo e per quel p.c.c. (per copia conforme) Quanto fumo si era speso e chiesto in quegli anni e, il chiederlo al “giovane regime”, quell’interrogativo poteva essere il tanto poco in arrosto di quel fumo.

Ma non basta per farci sorprendere in scrittura.

Continuando: “… Si pervenne a venti minuti senz’esito, mentre io masticavo tra i denti la sigaretta e mia moglie m’accorsi che si faceva irrequieta, finché mi si rivolse: -Oreste, ma non potevi chiedere fuoco a uno qualunque?” È sufficiente, fra un venti, un qualunque e un essere (Italia) irrequieta, trovarsi in una non citazione, nel documentario ch’è Signora e Storia? Se cercate altre immagini leggete la lavanda dei piedi. Un incanto per leggerezza emotiva nella discrezione. Il giusto e il tanto per conoscere qual è e con quali piedi si muove il mondo.

So bene del neorealismo e che occorre attendere il post guerra, almeno dal 1940 o giù di lì, ma almeno un accenno per chi ha scritto di Montale, di Quasimodo, di Pratolini, etc. Per quella serata avrei desiderato almeno un’immagine, una citazione e poter passeggiare con Lui come con altri in boschi letterari, nella dimensione fra memoria e simbolo, fra l’essere ironico e beffardo; avrei voluto essere scomodo, fastidioso, ostile nella certezza di avere accanto al personaggio, a colui che avrebbero voluto o discusso di far morire con il romanzo per assurde proprietà transitive e ricordare che, Galileo Galilei aveva già risolto la questione dei dialetti.

Con un’immagine si sarebbe verificato il più che doveroso, anche per un fine documentarista come Massimo Sani. Forse troppo giovane nel XX ’69 perché preso dall’impegno di immagini già predisposte. Per “l’ineffabile realtà” non fu l’accorgersi nell’allora. Forse troppo anziano nell’oggi per essere revisionisti storici.

Volevo solo ringraziare per mia mal posta riflessione. Il Fondo Verri si frequenta e dà occasione anche per questo e in grazie di chi lo conduce nell’egregio col filo narrativo tra Mito, Realtà e Storia.

Grazie!

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