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san Mauro - il bel luogo

Categoria: racconti Pubblicato: Domenica, 30 Ottobre 2011

Il messaggio

l'estetico in un gesto Rosa.

 

di Francesco Pasca

 

(La nota non vuole essere l'ulteriore deificazione di chi viola IL LUOGO, piuttosto, la lettura meno disincantata e non priva di un malizioso sogno singlottico. É la risposta alle ingenuità che colpiscono gli animi nell'immediato. Spero di essere stato discretamente utopico)

Ogni Luogo ha il suo albero leggenda da coltivare, da lasciar consentire il suo radicarsi lentamente nell’immaginario culturale di un vicinato. Il caso san Mauro di cui oggi si discute parte dall'anno 284, da un inseguimento i cui fuggitivi, sbarcati nei pressi di Gallipoli e seguendo il crinale della Serra Salentina, su di un luogo elevato, si dice vi abbiano trovato rifugio con il corpo del santo e che il loro rifugiarsi fu vano. Da qui, gli abitanti dei dintorni, iniziarono a dare il via alla commemorazione dello sfortunato santo e dei suoi devoti amici. Fu così da quel giorno, e ogni primo di maggio si ricorderà l’evento. In quel lontano 284 iniziò non solo la leggenda ma anche la Storia. Dal 1149 al 1331 si attesteranno donazioni soprattutto di terreni, e le località Salentine contribuiranno al prestigio e al dominio sul territorio di questa chiesetta. L’abbazia fu pertanto fondata e riconosciuta dai monaci basiliani a partire, circa, dai secoli VIII-IX.

Pare fosse adorna dalla presenza di tre altari e presentasse la distinzione dal presbiterio, il bema. Sempre a Est era l'iconostasi, e, a separazione, quel rialzo di un gradino oggi incerto. Dai mille del primo periodo ne sono scorsi molti altri, e, fra alterne vicende ancora oggi la chiesetta non è meta assidua di pellegrini, ma di un avvicendarsi di curiosi, soprattutto in prossimità di eventi, siano essi meno o più di carattere culturale.

É forse meglio definirli più smaccatamente ludici?

Le Amministrazioni si avvicendano, così avviene da sempre, così quelle feudali e le attuali. Quest’ultime poco fanno o possono fare, e le autorità ecclesiali di “sempre” non hanno mai seriamente contribuito, salvo sporadiche prese d’atto, a preservare e a concimare l’Albero della leggenda. (di cristianità van cercardo). Non è questo l’isolato fare “cattiva” politica e scarsa cultura di territorio, così come non capita mai a caso di imbattersi in luoghi, con amici studiosi ed archeologi rispettosi ed accorgersi del bene artistico e monumentale non adeguatamente rispettato. Ho dovuto persino fare il mio “documento”, appurare l’applicazione errata della storia, del restauro e della conservazione di beni archeologici poi divenuti lentamente ben più fatiscenti e vergognosamente abbandonati. In qualunque dei processi fisici quali imbrattare, distruggere, versare, spruzzare, dipingere, scrivere, incidere, strappare, bruciare, incollare, fotocopiare, stampare e a quant’altro ci si collega all’esito fisico di un fare, vi è sempre la “giusta” intenzione, e, per lo studioso, è opportuno perseguire il criterio dapprima estetico. L’apporto personale sarà quello suggerito da George David Birkhoff (1884-1944), dall’enunciazione del suo rapporto fra Complessità e Ordine (O/C). In quest’andare tenterò anch’io di sviluppare una teoria della “misura estetica" del “valore” da  attribuire. Quell’indeterminato Ordine sarà simile all'esito dell’Arciere del Profeta Gibran, che vede il bersaglio sulla strada dell'infinito, che forza l’arco affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane, ma non sa, dove colpiranno o se lo raggiungeranno. L’insita complessità dei gesti sono come i nostri figli. Non è di poco conto non conoscere gli autori del reclamato e presunto iter di “Atto vandalico” o “Gesto d’Arte”.

L’evento con la dovuta differenziandone fra fisico e metafisico può rimanere isolato?

Quest’intenzione di iter dialogico porta con sé il poter esser condotto  da parte di chiunque. Porta verso il chiunque. Perciò torna strano sfogliare il giornale locale o scandagliare con qualunque motore di ricerca nel villaggio globale e leggere: “Sfregiata con vernice rosa l’abbazia di san Mauro”; “Sannicola, choc all'abbazia di S. Mauro, Vandali versano la vernice sul tetto”; Vernice rosa: Vandali all'abbazia di San Mauro” e via di questo passo. Nel Foglio di ProsaPoesia  Diversalità, per questo, si è deciso di ospitare alcune delle proprietà di lettura-pensiero in una scrittura. Si vuole far giungere a una più ragionevole e non solo passionale o mera viscerale certezza alla quale siamo abituati. Corretto è, da parte delle Amministrazioni, lamentarsi quando vi è anche impegno. Ma, le eco sono l’imbarazzanti e, quando continuano a giungere suoni sgradevoli vogliamo correttamente captarli. Sarebbe stato auspicabile stanare l’autore prim’ancora di apostrofarlo con “dagli, all’untore …”, “Dagli al sacrilego” o con quant’altro quel gesto è ascrivibile. L’errore è ormai stato compiuto, e, chiunque sia stato, si terrà ben nascosto dal manifestarlo. A domanda spontanea vi è la necessaria domanda-risposta: E le indagini? Se ne potrebbero avviare delle più raffinate, ma non mi pare siano state individuate le vere motivazioni di quest’assassino civile e culturale, il bisogno di quei “bene-male-fattori”. Siamo “Tutti” sicuri di poterci trovare di fronte alla probabile o assoluta gratuità del gesto?,  alla solita provocazione di giornata?, alla bravata del ragazzotto di paese annoiato?, ad una qualsivoglia manifestazione di un EGO che ha, di fatto, ripercorso il sentiero della catarsi e ne ha versato il Colore?  E, se vi fosse la drammaticità di un’ancora più nascosta verità, chi può dirla? Infine, è dinanzi a tutto questo che corriamo, sbraitiamo. Per caso, non ne abbiamo “Tutti” continuato quel gesto ed anche usufruito? Ricordo che l’indignazione è sempre collettiva, mentre la riflessione tocca invece nel solitario. Di questa ragione, per alcuni di sì scarsa importanza, vorrei discorrere e far pronunciare. Ora lascio momentaneamente ad altri il compito di quest’osservazione, mi occuperò del “ROSA”. Possedendo il sano senso di un equilibrio instabile nel colore, ovviamente, ho i miei motivi e i distinguo che mi preservano dall’individuare “sic et simpliciter” i contesti volutamente ambigui e cerco quindi di disambiguarli passando attraverso la relazione di una indeterminazione estetica. Le caratteristiche sin qui accettate e non accertate sono il “bello”, “il brutto”, “il tragico”, “il comico”, “il vandalico” nei confronti di ciò che è stato inteso principalmente come “disturbo”, come “intervento distruttivo”. È quasi paradossale sottolineare, qualora si cercasse il “disturbato disturbatore” o “l’intervento distruttivo”, la posizione di Nietzsche nei riguardi dell’opera d’arte: «ogni grande opera d’arte si distingue per il fatto che ognuno dei suoi momenti [mi è lecito supporre non solo i momenti dell’iter creativo, ma anche i momenti nella loro proiezione storica] può essere pensato anche altrimenti, conferma così la sua indeterminatezza essenziale della “realtà estetica”». [m’appare intuibile anche il distinguo del suo “variabile”].

Per ulteriormente sottolineare, è giusto ricordare anche Oskar Becker, il primo a parlare della “fragilità” dell’opera d’arte. È così che il concetto di “indeterminazione” diviene “realtà fisica”: con un trasferimento immediato alla “realtà estetica”. Il mio interesse cade quindi non sull’Autore. È sull’opera che si è avuta la trasformazione. Infatti mi interesserò del suo inizio e fine e non della “Maestranza”, quella non mi riguarda. Non affermerò se è Artista, se è Colluso o sventurato artefice di un gesto. Dirò del risultato. Il compito di qualunque operatore estetico è questo, dunque: Ricondursi al Gesto è verificare se può essere ascritto ad un senso estetico delle cose dette d’arte o ad un messaggio in codice da dover usufruirne, leggere e decodificare. Occorre astrarlo dalla giustificazione ed individuarlo nel suo codice. Per brevità: Se scrivo albero, il risultato visivo è albero, ma non ti dico di che tipo, potrai immaginarlo a tuo piacimento. Se scrivo Abete, il risultato è albero, ma non ti indicherò la sua altezza, potrai assumerla a caso. Se scrivo Ramo, il risultato visivo può essere Albero, ma non necessariamente ne dovrai indicare un vegetale; ”… quel ramo del lago di Como …” potrebbe attrarti. Se scrivo Omar, il risultato sicuramente non potrà mai essere un Albero. Ma, se l’intenzione è far leggere al rovescio, sarà Ramo, e, per la ragione d’innanzi, questo potrà anche restituire l’immagine non più certa di un Albero. Come vedi, in tutti i casi proposti, ti ho dato la probabile soluzione ma, non ti ho detto, né mai aggiunto cos’è o cosa non è. Quindi, il conoscere è subordinato dall’Essere certi di ciò che «È» e non «È», ma «È».

Questa la Ragione del mio leggere-scrivere sull’atto di san Mauro. Pertanto, la caratterizzazione di un messaggio, non è, ma può diventare necessità estetica. Se passa attraverso l’esito di una formulazione, che non è sequenza di un significantemente o di un altamente improbabile, «è risorsa ambigua rispetto alle regole del codice come sistema codificante». Non sono io a dirlo, è Umberto Eco che lo afferma nell’introdurre, su “i satelliti Bompiani”, il saggio di Jakobson, Arnheim, Moles, Bense e altri in “estetica e teoria dell’informazione”. (la mia copia è del 1972). Riprendo il filo del discorrere e preciso. Ormai assolta dalla critica moderna la stessa accezione di Estetica, sin qui designata nel suo ambito ampio e rivolto alla ricerca, è indubbio che, all’interno di ogni studio metodico-logico affiorino inevitabilmente le anime che lo compongono. Ecco allora apparire le due componenti “essenziali”, quella del procedimento razionale e quella di una qualunque interpretazione più a carattere spiccatamente immaginifico. Nella seconda componente sarà il metafisico quale bisogno d’astrarre e sembrerebbe in prima istanza a prenderne il sopravvento. Resta evidente che tra le due manifestazioni, i presupposti restano detti: “realtà estetiche nei due sensi” e si affacciano così nella duplice esistenza di essere Galileiani ed Hegeliani. Nell’Hegeliano: Il percorso di “idea” o “ideale”, contrapponendosi al mondo fisico, ha fondamenta attribuibili alla massima autonomia di valore, all’interpretazione. Nel Galileiano: L’arte si avvantaggia nell’attratto e diventa concreta, ottiene  così il principio d’essere non una teoria del metodo ma l’applicazione di un metodo. È l’approdo sia al deduttivo che all’induttivo, l’indissolubilmente congiunto.

Ragionando in tal senso.

Se viene tracciato un colore su di una non “qualunque” superficie,  questo,  verrà  visto  come “segno” in tre  collocazioni  mentali. La prima sarà nel senso comune  di “segno” (e lo è  per  tutti da sempre); la seconda sarà nei confronti dell’oggetto ( e lo è ancora );  la terza sarà nei confronti di  un “interpretante” (qui non è individuabile il senso della sua misura). Pertanto, nello specifico potrà essere  “il rosa”, il “tetto rosa”,  il “vandalico” separato dal “non è vandalico”, il “bello” separato dal “brutto” e il “grammaticalmente previsto” contrapposto allo “scorretto” nei riguardi di un ordine di misura di bello. Da qui il proprio determinarsi di un Fare, del cosa Fare, del perché Fare. La decisione è, e può essere anche nella sua stessa negazione. Non Fare per cosa Fare, ma Fare per ogni possibile modello di evento da non determinare. In termini di misura ciò è indipendente da ogni particolare significato. In senso tecnico si richiama all’informazione. E, se ti dico "domani vado a lavorare", (l’uguale di quanto detto per “albero”) in quest'informazione, è il facilmente prevedibile che non è il maximum di informazione. (domani potrei anche non poterlo fare). L'Arte così come normalmente è intesa non misurerà più il grado di casualità presentato da un modello di eventi, ma darà come risultato la sua successione gestuale e produrrà uno stato di informazione che non sarà, comunque, il minimum.

Quindi, per lo studio di una percezione estetica, Il gesto col ROSA è l'attualità dell'evento ed identifica un'esperienza sensoriale complessa che può essere ricondotta alla sua purezza di configurazione. Da qui, il numero delle operazioni costruttive possibili,  divengono i: decidere perché fare, il  manipolare per fare. Personalmente coltivo e lascio coltivare l’Albero della leggenda e, in un gesto individuabile come estetico il valore non è sempre da determinare e, come ho già scritto a suo tempo, è utile condividere il: «Sss... meglio il silenzio …» (Mauro Marino). Altri invece si auto-censiscono con il banalissimo “Senza Parole”, preferiscono altri silenzi, altro modo di percepire la realtà che non è solo meraviglia o stupirsi di un gesto che non dà fiato, ma alito di rimorso per quanto credono di preservare. Ritengo che il ribadire il ribadito non serve a nessuno.

La Storia trasmette ed incasella nella sua unità di spazio-tempo tutto, sta a noi comprenderne i motivi, possibilmente svelarli all’insipienza o alla credulità, o peggio ancora alle nostre caparbietà di volere dare sempre e comunque un’etichetta, poi anche un probabile simbolo. Anch’io, come molti, sono divenuto un testardo e faccio il mio percorso trascinandomi il colore e mentalmente imbratto, distruggo, verso, spruzzo, dipingo, scrivo, incido, strappo, brucio, incollo, fotocopio, stampo ...

Anche per me vale: «Sss... meglio il silenzio ...». Ma in-tanto urlo, e non pronuncio la parola “Vandalo”. Riguardo alla vulnerabilità del manufatto

e all’attribuita volontà di un gesto di natura “vandalica” è bene far sapere che il “vandalo” distrugge e non demanda al tempo la dissolubilità di un siffatto gesto. Quel Rosa è così delicatamente lieve che, per la mente dell’arte, non occorreranno altri mille anni di incuria per cancellarlo.

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