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Può l'Anima...

Categoria: Uncategorised Pubblicato: Domenica, 13 Settembre 2009

Può l'Anima avere un inizio e, come il Tempo, assecondare la sua Memoria?


...Per raggiungere il suo Luogo, così fece. Ritardò ancora quel momento e si rimise a leggere quelle parole che non trovavano pace nella sua Memoria. Pensava alla sua di Anima, così come gli era stata raccontata. Ricordava di anime in luoghi ancora a lui remoti che la storia della cristianità gli aveva sottoposto all’osservanza e all’accettazione di una probabile futura esistenza. Il vocabolario era divenuto il suo breviario. La parola andava nominata, occorreva darle certezza, fisionomia non approssimata. Non poteva accontentarsi solo usarla. Non accettava la sola rispondenza del suo termine con quanto in quel momento era stato costretto a seguire con la sua logica. Ripeteva fra sè e sé:
«all’Anima può esserle concesso un principio? All’anima può esserle affidata l’opportunità di riconoscersi principio come convinzione di esistere? Può appartenermi per un dato Tempo come successione illimitata di istanti in cui si svolgono gli eventi e le variazioni delle cose?»
Per Fiato, accettare un inizio era accondiscendere anche alla fine. Accettare l’appartenenza al proprio Tempo, limitato alla sua esistenza, era darle necessariamente anche Memoria.
In tutto quest'avvicendarsi, poteva il Tempo salvare la sua Anima perché nominato, illimitato?
Sul percorso di questa meteora, sinapsi neuronale incendiata dai suoi perchè, andava a consumare la sua energia e a frantumarsi su di un improbabile mondo abitato. Romolo-Fiato non vacillava, continuava a tenere fede, a non perdere di vista il suo obiettivo, qualunque fossero state le sue conclusioni, sarebbe andato a trovare comunque suo padre. Ma, ancora una volta fu stornato da quegli eventi e dalle sue variazioni. Decise di allungare il tragitto. Romolo iniziò ad immaginarsi l’ennesimo suo Luogo, moneta sonante della Conoscenza, e lasciò che si adattasse il tutto come acqua ed aria.

Partire dal Niente, pensò: «non è dare inizio né fine».
Fu così che ogni angolo della sua mente fu gonfiato, inondato e, in quel frastuono di Niente, si accinse a scavalcare il Tempo. Certo di quanto aveva supposto riguardo le aspettative che si potevano configurare in uno qualunque di questi Luoghi così immaginati. Ne scelse uno, mai da lui veduto, ma che la Storia ne aveva scolpito, dipinto, parlato. Indirizzò il suo percorso verso il mare, a Sudest. Assecondando la dolce linea del suo Salento, Romolo percorse la via battuta da tutti, quella che portandosi sulla sinistra il proprio mare, dopo un breve percorso di sabbia, conduce verso la costa alta, quella frastagliata come i merletti da lui rammentati dal fare cadenzato, di un tempo ripetitivo, meccanico, ma dal sortilegio magico della fantasia di un frattale. Erano i merletti di un’anziana vicina di casa da lui amorevolmente chiamata zia Vita.
Di quella zia Vita ne ricordava soprattutto le mani. Mani veloci e sicure, piccole, bianchissime e segnate, nei loro confini, dai contorni "ungulati" arrotondati come ciottoli di fiume. Mani sempre intente a percorrere la cadenza ordinata dei gesti. Romolo in quei gesti, in quelle mani, vedeva nascere la Vita delle sue fantasie, ne sfogliava gli eventi e contava sino a dieci e poi ancora ritornava a soffermarsi su quei ciottoli rosi dal tempo e ne andava a contare questa volta i rivoli che si andavano a segnare fra quei segmenti. Vortici di mare in tempesta, mulinelli d’aria, gli stessi che pensava potessero essere provocati, generati da quel fare veloce, da quel roteare e saltellare di quel gomitolo di filo perlaceo. In quell' altalenante progetto, Romolo era esterrefatto.
Quel fare, ricorda, girava in tondo e s’espandeva come galassia. Quel mare, adesso si predisponeva al suo fare e segnava mentalmente i suoi probabili approdi.
In quella splendida giornata di sole, annuncio primaverile, Romolo-Fiato stirava verticalmente il suo orizzonte e, innalzandolo progressivamente, portava la sua Memoria ad Oriente. In quella distesa di azzurro cobalto, verde smeraldo, grigio piombo, lanciava le maglie della sua Conoscenza. In prossimità di quegli approdi, di spumeggiante forma-colore madreperlaceo, lanciava gli arpioni della sua Memoria. Il mare, divenuto sempre più infinito come quell’illimitato Tempo era lo stesso che immaginava occorresse per percorrerlo.
Di quel percorso, proprio perché associato al Tempo, immaginava gli istanti in cui si svolgono gli eventi e le variazioni delle cose. Immaginava cosa potessero essere quegli eventi, quelle cose. In quelle Cose, prefigurava l’uomo con l’astuzia di Ulisse e in quell’Ulisse anche l’avvicendarsi di un disegno ora ostile, ora fortunato, ora inappagato.

I naufragi con il loro carico umano li ascoltava dagli uncini, rostri della sua Memoria al pari del dipinto di T. Gericault, La zattera della Medusa. Ascoltava lo sbattere di quei drappi rivolti all’infinità di quell’orizzonte, ascoltava i pensieri di quel Vecchio in soccorso del suo giovane Tempo, ascoltava lo sventolio di quelle mani che non riuscivano a fermare il vento e il fuggire dei loro desideri.
Tutto si portava in fondo a quel mare, e, in quel profondo, non solo gli uomini ma anche la fatica, la fantasia, i desideri mai consumati e quant’altro ad un uomo poteva essere tolto, anche se di nome Ulisse.
In quell’istante, percorse il suo tempo verso il Luogo dove, suo padre Francesco, era lì ad attenderlo. Scambiò le sorti di quel naufragio. Non era più il vecchio a soccorrere il suo giovane tempo, ma il suo contrario. Un giovane tempo pensoso ed accorto su un già giovane tempo...
[...]

da Tòpoi - la parola nominata di Poiesi(es) Francesco Pasca

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