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Il mistero Caravaggio

Il mistero Caravaggio

Di Francesco Pasca

 

 

 

 

«… Egli era di colore fosco, e aveva foschi gli occhi, nere le ciglia, e i capelli; e tale riuscì ancora naturalmente nel suo dipingere …» (Giovan Pietro Bellori, 1672 - Le Vite de’ pittori scultori e architetti moderni – Giunti, Firenze, 1976)È tempo di resoconti. Il 5 settembre chiuderà la mostra sul mistero dei due San Francesco. Quasi 400 anni di vita dalle sue opere, 400 certi dalla sua morte. Il nuovo ma non ultimo segreto ha incuriosito i leccesi per la mostra promossa dalla Provincia di Lecce.

Può l'Anima...

Può l'Anima avere un inizio e, come il Tempo, assecondare la sua Memoria?


...Per raggiungere il suo Luogo, così fece. Ritardò ancora quel momento e si rimise a leggere quelle parole che non trovavano pace nella sua Memoria. Pensava alla sua di Anima, così come gli era stata raccontata. Ricordava di anime in luoghi ancora a lui remoti che la storia della cristianità gli aveva sottoposto all’osservanza e all’accettazione di una probabile futura esistenza. Il vocabolario era divenuto il suo breviario. La parola andava nominata, occorreva darle certezza, fisionomia non approssimata. Non poteva accontentarsi solo usarla. Non accettava la sola rispondenza del suo termine con quanto in quel momento era stato costretto a seguire con la sua logica. Ripeteva fra sè e sé:
«all’Anima può esserle concesso un principio? All’anima può esserle affidata l’opportunità di riconoscersi principio come convinzione di esistere? Può appartenermi per un dato Tempo come successione illimitata di istanti in cui si svolgono gli eventi e le variazioni delle cose?»
Per Fiato, accettare un inizio era accondiscendere anche alla fine. Accettare l’appartenenza al proprio Tempo, limitato alla sua esistenza, era darle necessariamente anche Memoria.
In tutto quest'avvicendarsi, poteva il Tempo salvare la sua Anima perché nominato, illimitato?
Sul percorso di questa meteora, sinapsi neuronale incendiata dai suoi perchè, andava a consumare la sua energia e a frantumarsi su di un improbabile mondo abitato. Romolo-Fiato non vacillava, continuava a tenere fede, a non perdere di vista il suo obiettivo, qualunque fossero state le sue conclusioni, sarebbe andato a trovare comunque suo padre. Ma, ancora una volta fu stornato da quegli eventi e dalle sue variazioni. Decise di allungare il tragitto. Romolo iniziò ad immaginarsi l’ennesimo suo Luogo, moneta sonante della Conoscenza, e lasciò che si adattasse il tutto come acqua ed aria.

Partire dal Niente, pensò: «non è dare inizio né fine».
Fu così che ogni angolo della sua mente fu gonfiato, inondato e, in quel frastuono di Niente, si accinse a scavalcare il Tempo. Certo di quanto aveva supposto riguardo le aspettative che si potevano configurare in uno qualunque di questi Luoghi così immaginati. Ne scelse uno, mai da lui veduto, ma che la Storia ne aveva scolpito, dipinto, parlato. Indirizzò il suo percorso verso il mare, a Sudest. Assecondando la dolce linea del suo Salento, Romolo percorse la via battuta da tutti, quella che portandosi sulla sinistra il proprio mare, dopo un breve percorso di sabbia, conduce verso la costa alta, quella frastagliata come i merletti da lui rammentati dal fare cadenzato, di un tempo ripetitivo, meccanico, ma dal sortilegio magico della fantasia di un frattale. Erano i merletti di un’anziana vicina di casa da lui amorevolmente chiamata zia Vita.
Di quella zia Vita ne ricordava soprattutto le mani. Mani veloci e sicure, piccole, bianchissime e segnate, nei loro confini, dai contorni "ungulati" arrotondati come ciottoli di fiume. Mani sempre intente a percorrere la cadenza ordinata dei gesti. Romolo in quei gesti, in quelle mani, vedeva nascere la Vita delle sue fantasie, ne sfogliava gli eventi e contava sino a dieci e poi ancora ritornava a soffermarsi su quei ciottoli rosi dal tempo e ne andava a contare questa volta i rivoli che si andavano a segnare fra quei segmenti. Vortici di mare in tempesta, mulinelli d’aria, gli stessi che pensava potessero essere provocati, generati da quel fare veloce, da quel roteare e saltellare di quel gomitolo di filo perlaceo. In quell' altalenante progetto, Romolo era esterrefatto.
Quel fare, ricorda, girava in tondo e s’espandeva come galassia. Quel mare, adesso si predisponeva al suo fare e segnava mentalmente i suoi probabili approdi.
In quella splendida giornata di sole, annuncio primaverile, Romolo-Fiato stirava verticalmente il suo orizzonte e, innalzandolo progressivamente, portava la sua Memoria ad Oriente. In quella distesa di azzurro cobalto, verde smeraldo, grigio piombo, lanciava le maglie della sua Conoscenza. In prossimità di quegli approdi, di spumeggiante forma-colore madreperlaceo, lanciava gli arpioni della sua Memoria. Il mare, divenuto sempre più infinito come quell’illimitato Tempo era lo stesso che immaginava occorresse per percorrerlo.
Di quel percorso, proprio perché associato al Tempo, immaginava gli istanti in cui si svolgono gli eventi e le variazioni delle cose. Immaginava cosa potessero essere quegli eventi, quelle cose. In quelle Cose, prefigurava l’uomo con l’astuzia di Ulisse e in quell’Ulisse anche l’avvicendarsi di un disegno ora ostile, ora fortunato, ora inappagato.

I naufragi con il loro carico umano li ascoltava dagli uncini, rostri della sua Memoria al pari del dipinto di T. Gericault, La zattera della Medusa. Ascoltava lo sbattere di quei drappi rivolti all’infinità di quell’orizzonte, ascoltava i pensieri di quel Vecchio in soccorso del suo giovane Tempo, ascoltava lo sventolio di quelle mani che non riuscivano a fermare il vento e il fuggire dei loro desideri.
Tutto si portava in fondo a quel mare, e, in quel profondo, non solo gli uomini ma anche la fatica, la fantasia, i desideri mai consumati e quant’altro ad un uomo poteva essere tolto, anche se di nome Ulisse.
In quell’istante, percorse il suo tempo verso il Luogo dove, suo padre Francesco, era lì ad attenderlo. Scambiò le sorti di quel naufragio. Non era più il vecchio a soccorrere il suo giovane tempo, ma il suo contrario. Un giovane tempo pensoso ed accorto su un già giovane tempo...
[...]

da Tòpoi - la parola nominata di Poiesi(es) Francesco Pasca

Il palindromo del Tempo


Tra otto sedici e venticinque

da il palindromo del tempo di Francesco Pasca

Alber(t)o snocciolava il suo rosario di parole, leggevo chiaramente sulle labbra quell’ossessivo rincorrersi e ripetermi: « otto-sedici-venticinque, otto-sedici- venticinque, otto-sedici- venticinque…». Concluse la sua eco dicendo : « La scelta delle sedici icone pare dettata dal dualismo perpetuo del numero otto.
Infatti, sia il quarto simbolo che l'ottavo, nella composizione totale della cosmogenesi, appaiono profondamente diversi e miranti ad ottenere uno scopo. L’ottavo in particolare, ci induce, ti induce a leggere la sua corona circolare e poi a volgere lo sguardo a sinistra in alto, fuori. Anche la celtica da te ritrovata sulla facciata di San Pietro ad oratorium, contribuisce ad avvalorare quel percorso. Ė lì che troverai il motivo della supposizione ».



Riascoltavo quanto ripetuto nel racconto precedente.
« L'intreccio grafico, con il suo complicato svolgimento, si annoda e si snoda costruendosi con la stessa maestria del suo narrare. Credo sia stato il suo ultimo atto a completamento dell'opera. La sua magia più bella a dimostrazione della immensa cultura donatagli dallo scriptorium della abbazia di Casole.»


Del quarto simbolo, in particolare, mi raccontava…

«due sono le chiavi di lettura.
La prima, con la certezza di un inizio da una composizione parziale, già esistente, e, sebbene fortemente incompleta, è da lì che il Pantaleone ha dipanato la sua Idea. Certezza, questa, per la chiara appartenenza più ad un frammento che ad un racconto omogeneo dal punto di vista geometrico.
La seconda, forse dovuta a manipolazioni, restauri o sostituzioni, di cui oggi se ne evidenziano le discrepanze linguistiche nella loro sintassi costruttiva.
Di fatto quel quarto simbolo è profondamente diverso. Se tutto questo può essere giustificato da mille anni di storia trascorsa sulle sue tessere, non potrà mai lasciarci indifferenti o quantomeno meno curiosi nell’individuarne i motivi».



Aggiungeva.
« Anche nell'osservare la “firma” lasciata da Pantaleone, non si può non rievocare e non tornare a sottolineare quel legame con il Palindromo.
Questo disegno è il suggerimento di lettura di una matrice di sedici nella quale, per ragioni che più avanti spiegherò, è la semplificazione della matrice di venticinque».
E’ sempre Alber(t)o a profilarsi prendendo posto fra le mille e più figure dell’Albero e mettendo in evidenza la necessità di non perdere di vista il legame con il Palindromo, a corrermi incontro con queste parole.



« Proviamo a rieseguire questo suggerimento.
Seguendo l'andamento delle sue linee, sovrapponiamo il disegno allegato ai sedici elementi della cosmogenesi. Teniamo conto, quindi, della vera natura del Sator, del suo utilizzo come misuratore temporale; non a caso è la rappresentazione della cosmogenesi, nonché l’inizio di tutte le cose in cui sono evidenti anche la presenza dello spazio cosmico con le rappresentazioni della volta celeste e le costellazioni, nonché il richiamo, nell’Albero della Vita, ai dodici mesi dell’anno.


Infatti il TENET è in corrispondenza con: l'albero dai frutti pendenti i cui rami, sembra, seguano ed ancor più ne assecondino le indicazioni di lettura proposte; l'asino con l'arpa, da alcuni descritto come il centro motore nel nostro universo, con le sue corde evocherebbe un sistema concentrico che, con il suono di quell'arpa, potremmo paragonarlo a quel «rumore di fondo» della creazione; i due cani festosi racchiudono ed amplificano quel «rumore»; l'airone, il polpo ed, infine, in basso, l'albero del peccato con il serpente che l'avvolge».

Proseguendo…

« Leggiamo insieme, come già fatto in precedenza. Ascoltami attentamente. Le due costellazioni del Cane Maggiore e del Cane Minore, tramandati a noi come i due cani del cacciatore Orione con la presenza di Sirio ed ancora andiamo a riconoscere la costellazione della Lira con la presenza di Vega che già, come risaputo, 12000 anni fa svolgeva il ruolo di stella polare, a causa della precessione dell'asse terrestre».

Ormai non curante più nemmeno della mia meraviglia continuò.

« Ora, andiamo ad individuare quel TENET verticale e ritorniamo ad osservare i sedici circoli della cosmogenesi.
Il suggerimento che ti propone Pantaleone è segnato con la sua direzione di quella lettura ed andamento, nonché situato, in basso a destra, in corrispondenza di REGINA AUSTRI.
Come già ancor oggi ti ripeto e come credo di averti detto, Il primo, il secondo e il terzo simbolo hanno, al loro opposto, diagonalmente: l'enigmatico animale con piedi deformi che ne richiamerebbe la storia della Regina; Adamo; Eva.
E poi ancora, il quinto con il dodicesimo ed il nono, ancora una volta, con l’ottavo e così via. Del quarto simbolo, il grifone con la dicitura “PASCA”, andremmo a riconoscere L’ORIGINE della Legge, quella stessa individuata nella metopa di Magliano de’ Marsi. Al suo opposto diagonalmente è un toro, IL NUOVO, così verrebbe definito il nuovo anno, l’inizio.
Tutto questo a dimostrazione di quella capacità di selezionare immagini e proiettarcele sino ai nostri tempi, sempre mutevoli ed al contempo identiche».


La mia era già certezza ed oggi, ancor più certo, come ho già fatto nel precedente racconto, comparo, alcuni degli elementi iconografici dove compaiono i SATOR AREPO…. Li accomuno a quello già indicato nella facciata di Magliano de’ Marsi, a quello della pavimentazione di Aosta ed a tutte quelle forme stranamente incastonate lungo il perimetro di San Pietro ad Oratorium.
Tutto questo lo riconduco ad un’unica informazione culturale, quella del monaco Pantaleone nel mosaico di Otranto. Da tutto questo è determinata l'ulteriore supposizione.
Il Quadrato Magico del Sator può essere la chiave di lettura di un ulteriore quadrato la cui matrice è di venticinque numeri disposti ordinatamente, ma la cui lettura viene data dalla presenza delle lettere uguali disposte secondo degli allineamenti obliqui, le diagonali.

LPN

 

L.P.N.

di Enzo Miglietta

 

 

 

LA PERDITA DELLA PAROLA

O

ARTE DALLA SPAZZATURA – PSEUDO

 

Credo che intorno al 30% di ciò che si compra, oggi, vada in poco, spesso in niente, allo scarto, sia da roba di alimenti, sia da soppalco o di parata. Tutta roba di pronto consumo vestita di eternità, neanche perennità. Di essa la finta eternità va subito alla finta banca, i bidoni della spazzatura e fiancate, sempre ingombre, specie nei “festivi”, di “non entrante dentro” che, pure, entrerà.

E poi le spazzature o i rifiuti oggi sono il peggiore problema che ha a che fare con la soprav­vivenza in fondo e subito dopo la decenza. E' il problema mondiale delle scorie o residui bellici e parabellici o industriali e para, fino alle montagne o fogne degli oggetti e loro porzioni, o frammenti, da far sparire, riciclabili e no: a che la raccolta differenziata di vetri, carta, plastica, pile, eccetera?

Nel rinnovare la casa o lo studio, il negozio o la fabbrica, per tantissime ragioni, molta roba usata, da scartare o sostituire, forse neppure usata, si trova; non solo, ma con l'avanzare negli anni gli uomini, da bambini/e o ragazzetti/e, poi giovincelli e uomini o donne fatti, si lasciano sempre indietro ciò che fu "sommo diletto" - da buttare ora. Certo c'è pure chi non ha il pane, ancora oggi, e tanto meno i giocattoli o vestiti da smettere con facilità o da appena coprirsi ossia roba da rifiutare; però è una strada difficile da seguire, anche se ultimamente molto si tenta di fare per il recupero del rifiutato, o spazzatura, anche commercialmente, a favore di "popolazioni indigenti". Ma non è che il grosso. Il minuto, il veramente consumato, e non più atto, c'è pure, e quindi per forza deve andare al bidone, per altre destinazioni, cenere generalmente o ricchezza orientata, se possibile, certamente, ma c'è una possibilità di altro recupero, in alcun modo?

Ecco, agli inizi, non c'era questo tipo di impatto come fatto/problema, oggetto/problema. Oggi è l'usato e smesso, nell' operazione rifiuto, o necessità o meno del rifiuto, che chiede riconoscimento, interpretazione, comprensione: - valorizzazione diversa.

Si può, ad esempio, fare arte con gli oggetti rifiutati, col loro modo di parlare? e mostrare?

Forse una pseudo arte, perché ne risultasse un discorso, diciamo, senza autore singolo, o con autori in erba, un discorso di più, riciclabile in un discorso di recupero o salvaguardia, intrattenimento a favore di un oggetto qualsiasi casualmente, per errore o coscienza, rifiutato?

A questo punto guardiamo un altro angolo dei rifiuti, quello della parola che si va perdendo.

Non è vero, si dice: chi non scrive oggi, che usciamo tutti dalle scuole con la tendenza più o meno, l'obbligo, a esprimerci dire la nostra, colloquiare o gridare, interrogarci e pure risponderci ?

Dove sta la perdita della parola?

Appunto in questa inflazione dell'Arte della parola, come di quella del pennello e sostituti o integrazioni, dello strumento e della scala musicale, come del corpo umano e suoi prolungamenti, o dei diversi materiali del mondo. L'inflazione, la degenerazione, l'uso ,e disuso quasi nello stesso tempo, lo sfruttamento e il rifiuto a breve distanza. L'evoluzione? Sì, è una evoluzione verso il fuori da sé: il video, il cervello elettronico, lo spazio, una seminagione in campi incolti, appena appena arati. L'inflazione della parola persegue la comunicazione altra, per segni suoni e colori e forse anche parole, via la punteggiatura e le pause, la riflessione ossia, l'io. E' la faccia dei tempi che corrono ? Sì, è un rimescolio generale dell'uso delle parole e delle cose da esse identificate, che nell'individuo si va perdendo, non nel potere e nella massificazione; per questo cresce falsa nel potere, la parola, e squallida nella massificazione. Il "Villaggio globale" delle plurinazionali del potere sempre più centralizzato e uniformato, irretisce, riduce al silenzio, che non sia il verso del pappagallo o del succube video – stampa - mercato dipendente. Un esercito di scrittori o comuni viventi, e artisti neppure artigiani, ma nullificato, l'esercito, nella enorme e anonima massa degli imbeccati.

Compra compra, consuma consuma, grosso e più grosso, così e così ti va bene; cosi ti va meglio, così meglio ancora, così sei magnifico, te lo dico io……..(il padrone)

 

E io, noi voi cresciamo su questo indottrinamento, persuasione occulta, da cui dipendono i nostri divertimenti e i sogni, su notizie informazioni novità scoperte rapide e facili a mutare così com'è facile premere un tasto. Tutto al vento che corre e travolge. Poche sono le voci e fisse le parole dei pochi

 

(stampa quotidiana e' permanente, radio, t.v. e internet, ultimamente...) a una folla, folla di in-culturati /a-culturati compratori per l'olio del denaro sempremai insufficiente/sufficiente.

Nella massa ognora presente del mondo l'individuo, che una volta nel suo processo di auto costruzione e nel suo "borgo natio" era o si sentiva qualcuno, adesso è demolito, ha solo voglia di ripetere per provare, gridare per sovrastare, rubare per emergere da così gran massa di produttori più falsi che veri, e pure invano, per lo più.

E allora si chiude la televisione e si straccia la stampa e ci si ritira in campagna ?

Ce n'è ancora tanta gente per le valli e per i monti, per i mari, isolata, pacifica, silenziosa, indigente. Le apparenze prestate all'inganno cedono alla parola-copia, alle poche parole comuni. La perdita della parola, uguale a le molte parole dei pochi sopra le poche parole dei molti.

E perdita della parola è la tua, sÌ. Proprio la mia soltanto? Quando entrava in funzione la scuola per tutti e cresceva cresceva il numero dei poeti scrittori letterati artisti, e si diffondeva il computer ed, era l'avvento dell'immagine facile e dell'azione, del corpo e degli oggetti vari, in copie e originali; e diminuiva diminuiva diminuiva il numero dei lettori, sempre più impegnati a correre per stordirsi?

Grandi passi verso la perdita della parola/pensiero, parola/uomo - individuo. Deve essere la parola­fatto, dicono, la parola-atto, la parola-merce. Non dormite nella riflessione/esposizione, forma/contenuto, personale/impersonale: finzioni tutte. Parola - mondo, sì.

Nella spazzatura altra è perduta l'essenzialità dell'alimento e anche del "confort"; nell'uso sparso medio della parola se ne va perdendo, o è già perduta? la stessa essenzialità, il necessario. Siamo al super uso inutile, al decoroso massificato, convertibile a gara, rapidamente aggiornato.

lo sento il falso della informazione continua da fonti continuamente varianti, o aggiornate, cangianti, false anche, per interessi, praticità, motivazioni varie accreditate alla stessa cambiante massa: E' quel che volete voi, che noi vi diamo - noi siamo innocenti.

E tu non leggi, non stai, non pensi; corri vagamente dietro una notizia volante, di cui il contenuto corre; non sei nel di dentro tu, pro o contro; solo essi, i padroni: asino, asino sei soprattutto, e lo sarai sempre di più, dico io.

Se è così, non ho niente da dire. Forse cantare, ballare, strombazzare? No.

Mi sono inventato il magazzino delle parole vuote, poco-sonanti; poche parole, che sono fatte, le nostre, di lettere di un alfabeto, che sono segni, maiuscoli o minuscoli, a stampa o a mano, con proprie forze e atti e proprie compagnie, (allegre brigate, le ho chiamate), che sono molto diverse tra diverse genti, per me sono le vocianti, le zampate, le crestate, le spian(t)ate e la tramezzana; ma per gli altri? Molto scombinate sono senza la colla del perché vero o del contenuto

vitale, giusto, ma sono i tempi. Sì, sono i resti, il rifiuto della parola, quello che non è più utile e deve andare ai rifiuti, alla spazzatura; sono i resti delle cose e delle denominazioni delle cose del mondo, sfocato oramai, nella sua sprofondata ampiezza. Superfluo contro superfluo, per me individuo anonimo, uomo soltanto.

Ecco, allora, la perdita della parola che si aggancia alla Arte dalla spazzatura, ancora per un tentativo di salvataggio di qualcosa.

Non è Scrivere, né è Far Arte, usare le lettere dell'alfabeto e gli oggetti rifiutati per dire un minimo con essi; ma è farli ancora funzionare anche solo per sé, dar loro ancora un credito. Ma interessarsi ancora a questi resti alfabetici e di vita, realtà e virtualità del mondo-uomo... è possibile?

Ma questa è una giustificazione, sufficiente al minimo, del mio uso per comunicare dei rifiuti di oggetti e lettere dell'alfabeto insieme, per un discorso-altro?

 

LP.N. 20-03-01 (riduzione dal testo originale del 7-11-99)

 

IL GESTO ESTETICO DELLA SCRITTURA

 

Il gesto estetico della scrittura........ cosa sarà mai?

Un fare come un più vedere e meno leggere "la scrittura", o prima vedere e poi leggere, o vedere in superficie e leggere in profondità, o niente leggere né tanto né poco, perché alla base c'è e non c'è la scrittura, essa se ne va per vie pazze? Però ciò che si vede ti può suggerire un' idea un pensiero un ricordo un desiderio, ciò che si legge ti può suggerire altro, ciò che si vede + ciò che si legge altro ancora, a diversi livelli, no?

Ma non è necessario salire o scendere tutti i livelli, ognuno è un suggerimento, un certo modo di fare scrittura, o scrivere, gestendo su una parte di memoria o progetto o presente dell'eventuale attenzione.

E' che la scrittura si libera di secolari condizionamenti - linearità senso unico codice canale servizio regolarità- e poi si libera anche delle forzature rotture analisi commistioni eccetera.

E' comunque e solo "un gesto", con tutte le sue defaillance, precarietà conseguenze, e lo è sempre, ché in qualche modo qualcosa è cambiato, dopo il gesto, qualcosa è rimasto, come segno diverso, e batte le strade del mondo, anziché - correre i vecchi righi più e meno a misura.

Il gesto estetico evidenzia La dimensione estetica della scrittura, che può essere pazza, dando all'attributo pazza il significato di libera, ma libera +++++++ . La dimensione usuale ragionevole è stanca, anche perché mano e penna non servono più comodamente, altre sono le vie e le misure comode oggi e più domani.

Le nuove dimensioni cambiano, pare, i canali supporti compagnie destinazioni misure, i "nuovi schemi" (Martini), ma lui, il corpo della scrittura, dopo tante analisi e prove, è cambiato a misura o fuori misura?

La scrittura al di qua e al di là della parola, la scrittura può essere libera, tutta per sé, PAZZA ? solo per modificarsi a piacere proprio per magari altri canali altre figurazioni altri servizi? Sì, se poniamo l'attenzione sulla dimensione estetica del corpo della scrittura.

Perché alla scrittura si attribuisce già un minimo di dimensione estetica e si può attribuire anche un massimoin armonia con le altre dimensioni ringiovanite.

Ma se la scrittura impazzisce e devia tutta per la dimensione estetica, il corpo della scrittura che strade può prendere? lo ci provo e apro a questa mia domanda: Il gesto estetico dello scrivere per una dimensione estetica della scrittura, che non sia proprio pazza.

Ma perché puntare sulla dimensione estetica d'una scrittura pazza?

Prima perché una scrittura pazza sia, liberando il suo corpo alla dimensione estetica; poi perché una dimensione estetica sia, liberando una scrittura pazza il tutto per avere un corpo di scrittura disponibile al gesto estetico.

Due gesti interdipendenti. Mancando l'uno o l'altro si cade nell'usuale. Non è neppure auspicabile un gesto estetico in un corpo usuale.

La ricerca della dimensione estetica in una scrittura pazza, dunque, per essere IO libero e fuori da scuole biblioteche o altro ammasso di scritture usuali dall'indice puntato, libero dalla storia delle cose che muoiono nel consumo, quando esso nello stesso tempo non le rigenera. Libero IO, O CHI PER ME, di strafare di non fare di fare male o diverso. Ma, chi "per te" ?

Ci saranno mai altri per una scrittura pazza? Ci sarà mai un interessato a questo tipo di libertà di una scrittura manuale ormai inutile, visto che in essa, alla fine, viene sacrificato il perché primo che è la comunicazione verbale?

Sì, non c'è richiesta palese ma occulta sì, in profondità, in questa pazza nuova società che fugge se stessa. C'è bisogno d'una rappresentazione forte, una rappresentazione che polarizzi e aiuti l'uomo, più natura e meno macchina, a essere meno schiavo della macchina e più padre della sua natura. Disarmonia oggi è da tutti denunziata, disarmo-nia che nell'estetico potrebbe ritrovare il giusto uso della parola nel corpo di una scrittura atto al gesto

dei “nuovi schemi”.

 

Novoli 25.1.1996 Enzo Miglietta

 

 

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