EREMITICHE PUGLIESI
ALBA MEDEA
E LE CRIPTE EREMITICHE PUGLIESI
presentazione di Antonio Ventura
Nel 1936, Giuseppe Gabrieli, orientalista e bibliotecario dell'Accademia dei Lincei, dava alle stampe l'Inventario topografico e bibliografico delle cripte eremitiche basiliane di Puglia, quarto volume della collana "Bibliografie e Cataloghi" pubblicata dal Regio Istituto d'Archeologia e Storia dell'Arte di Roma. Invitato, poi, a presentarlo e ad illustrarne il contenuto agli studiosi italiani e stranieri intervenuti ai lavori del 5° Congresso Interna-zionale di Studi Bizantini, indetto nella capitale in quello stesso anno, riferiva, nel corso della relazione, che, durante le frequentazioni dei vari istituti culturali per le necessarie indagini archivistiche e bibliografiche, aveva avuto occasione di visionare presso la biblioteca dell'Associazione per il Mezzogiorno d'Italia le schede storico-artistiche della indagine ancora inedita Chiese-cripte della provincia di Taranto,
" ... nella quale la dottoressa Alba Medea ha registrato quanto in un mese intero di soggiorno sui luoghi, di ricerca e di esplorazione, di veramente intensa fatica e lavoro, ha osservato, misurato e venuto a sapere. Di ogni cripta da lei visitata ha dato una precisa e fedele descrizione, indicandone la denominazione, la località, lo stato attuale di proprietà, di custodia e d'uso a cui sia adibita, la misurazione planimetrica, la descrizione e interpretazione degli affreschi ed inscrizioni ancora visibili, spesso la pianta iconografica, e finalmente la bibliografia, con l'indicazione della iconografia fotografica, quando esista, e col suggerimento pratico di ciò che possa farsi per la riproduzione degli affreschi e la conservazione della cripta. Al-trettanto la dott.ssa Medea ha fatto nel 1934 per le più numerose cripte di Terra d'Otranto. Così si ha finalmente la notizia sufficiente e sicura di un centinaio circa di cripte basiliane o bizantine pugliesi... ".
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la Scrittura ricreata
Se la Scrittura diventa sacra
di Antonietta Fulvio
Pasca ama giocare con lettere e numeri, figure retoriche, ossimori, antinomie e singlossie, sempre alla ricerca dell’incrocio tra linguaggio visivo e verbale.
Che cos’è la scrittura se non un atto creativo successivo al pensiero, alla parola-suono, al Logos?
Sembra essere questo il primo di tanti punti interrogativi che Francesco Pasca, alter ego di Athea (Uomo di Nazareth) Edizioni Il Raggio Verde, infila come perle su un filo tra le pagine criptiche del suo ultimo lavoro letterario. Criptico come lo stesso titolo costruito graficamente con un codice a barre e l’utilizzo della prima lettera dell’alfabeto greco, a, che precede Thea forma femminile di theos, "dio" ma che per l’autore di Otranto il luogo delle parole (Edizioni Il Raggio Verde) si incarna nella stessa idea di scrittura. Una scrittura da decrittare come il lettore ottico legge il codice a barre parte integrante della copertina, impreziosita dal disegno esclusivo di Massimo Pasca che ben interpreta con il suo groviglio di segni l’intricata materia oggetto della narrazione. Ma qui non ci troviamo in presenza di una storia qualunque ma della Storia dell’Uomo di Nazareth in una visione laica e umana e quindi riferibile, in fondo, a qualunque uomo.
L'innocenza della Vita
Guardare il Tempo
di Francesco Pasca
Guardarsi intorno è volgere anche lo sguardo indietro e andare incontro all’innocenza della vita, a guardare nel ricordo ormai a noi non più prossimo. Avviene per dare certezza alle nostre immagini, ai particolari dominanti, ai percorsi già segnati.
Credo sia anche la necessità di misurare i livelli di gioia e di dolore, di ritrovare l’equilibrio che certamente vi è stato e ha condotto a quel particolare ricordo.
Pandolfini ce lo annuncia nel prologo e lo conferma nell’epilogo.
Il testo ben scritto, scorrevole nelle parole, conclude con: «… sono le premesse per costruire un futuro migliore.»
É un bel libro, l’ennesima avventura editoriale di Manni che diventa la fotografia per non perdere la memoria e assecondare la vita, misura altra vita.
L’avvertenza del Pandolfini è dichiarata per far abbandonare l’obliare, è per far portare anche al lettore lo sguardo intorno, per volgerci indietro, per ricordare.
Niente è epilogo. Il quanto, di quest’ultimo, è il perenne percorso legato al “destino” esterno ed interno al mondo di tutti noi, alla coscienza e all’intelligenza, alla storia fra bene e male.
Ho pertanto seguito il remoto e silenzioso consiglio dell’autore, ho letto anch’io adagiandomi sommessamente con il passo da lui dettato e sono stato sommerso dall’ambiente narrato. Il tracciato del romanzo sebbene si svolga nella Sicilia occidentale ha avuto eco a me vicina.
Le parole utilizzate hanno avuto suoni familiari e si sono scritti differenziandosi. Seggiari e concia brocche, quartare e brummmuli, trispi e scupetta, campiere e pizzini sono divenuti suoni antichi.
Credo che descrivere, per lo scrittore, sia la magia dell’andare incontro, con le parole, alle immagini. Nel romanzo i mezzi utilizzati non sono solo dello strumento scrivere, si adoperano anche sottili tessiture, si suggerisce l’oggetto che, da lettori spesso è inteso come metafora necessaria.
l'AlphaThea
-Thea
Un nuovo testo in libreria per la Casa Editrice salentina il RaggioVerde, è il quarto approccio alla scrittura da parte di Francesco Pasca.
L’AlphaThea–uomo di Nazareth è la “diversa(le)” scrittura. E' questo nello specifico ed è anche ritrovabile nel titolo guida espresso con il codice a barre, con la matrice simbolica di "L'Alfa-Thea (uomo di Nazareth)" assecondato dal segno di foderina abilmente inseguito col filo colorato di Massimo Pasca (figlio dell’autore ed espressione artistica di rilievo internazionale). In retrocopertina "la scrittura inchiodata"(2012), opera dell'artista Lucio Conversano.
Nel supermercato delle parole il prodotto ci conduce per mano e con mente diversa negli intricati meandri dell'elaborazione scritta.
La scrittura è una visione definita nei panni di JesusTHeoS, così ama definirsi il personaggio nel suo apposito acrostico.
Sardegna nuragica
Novità editoriali
dalla casa editrice Capone
Il nuraghe, originale costruzione megalitica, è il simbolo della Sardegna arcaica. Edificio suggestivo, che conserva tuttora il fascino dell’umanità più antica, non ha precedenti sulla faccia della terra. Alti, possenti, costruiti con grandi blocchi poligonali, a più piani, con corridoi e coperture a ogiva, e, quasi tutti, con coronamento sulla parte sommitale, i nuraghi impressionano quanti li osservano. Sono circa ottomila, alcuni in stato di conservazione sorprendente, altri, e sono purtroppo la maggior parte, in stato di desolante abbandono. I primi, i più antichi, risalgono al XVII sec. a. C., altri, i più recenti, all’inizio dell’Età del Ferro, X sec. a. C. L’imponenza e la tecnica costruttiva delle strutture ci ricordano le fortificazioni megalitiche di Tirinto, di Micene, di Hattusa, in Asia Minore, così come le grandi tombe a tholos dell’area egea e mediorientale.
Furono gli architetti e le maestranze sarde ad “esportare” la tecnica costruttiva megalitica o ci furono intrecci culturali tra le diverse civiltà che, influenzandosi vicendevolmente, diedero vita alle monumentali costruzioni presenti in tutti i paesi che affacciano sul Mediterraneo?