
Parole Sparse - tre
Conosci qualcuno che ha forse… scritto a Natale ?
Io lo Conosco; ha riscritto ancora oggi perché sente il sapore di frutto appena raccolto, presentato e gustato da occhi fatti grandi dietro a spesse lenti. Ho veduto il suo stupore mentre immaginava il sapore.
Io l’ho veduto accostarsi furtivo a quella abbondante natura; l’ho veduto sbocconcellarla e a gustarne le diversità ; l’ho veduto ed è sembrato come un'immagine appena colta e rubata.
E’ stata fervida fantasia di bambino goloso?
Oggi conosco quel piccolo principe goloso, ha continuato a suggere da quella natura o a scrivere come parlarsi addosso, a scolarsi di quel succo di volta in volta acre o scorrevole e dolce come rima baciata.
Ha continuato a convincere che i luoghi, le storie, le fantasie e le mancate promesse possano continuare ad esistere. Furtivamente, continua ad essere e fantasticamente, ad impossessarsi di canestri di frutta gustosa.
Io l’ho veduto svegliarsi e non accorgersi che, a volte, nel sogno, il risveglio è già adulto e non c’è tempo per crescere.
Finalmente, ho Sentito, malinconia nel suo scritto, e sento parole zoppe mescolate ad improvvisi silenzi; sono rumori di pietre stropicciate e rigate dove appaiono colori di gesso umido come nubi autunnali. Forse ne ho ravvisato un lento ma inesorabile distacco.
Racconta di sé: “Conosco un bugiardo che da sempre non seppe essere al momento giusto nel posto giusto, finito nel ventre di un pesce…., non so bene se da lì cominciò o finì la sua storia.”
Singlossia per egoestetico serigrafia Francesco Pasca
La quinta volta di cinque |
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Era il nuovo, la prima volta di cinque; nuovo era il secolo, la classe e i docenti. Era nuovo l’interesse segnato su volti ansiosi, ora smarriti, ora curiosi. Oggi E’, la quinta volta di cinque e sono volti felici di anni passati, di interessi acquisiti, cercati. Oggi E’, nuovo lo spazio, fra ieri e domani. |
Francesco Pasca –acrilico- paesaggio - le Conchiglie (Gallipoli)
se fosse ieri...
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Ho atteso giornate di sole. Ho atteso paesaggi arrossati, disegnati, ricchi di mille colori. Ho atteso nuvole di gesso annacquato, cariche di attese e di sete. Ho atteso parole da mescolare alle tue. Ho atteso desideri insperati. Ho atteso!
Forse, domani ?
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Francesco Pasca - acrilico Venezia
era forse Venezia?
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Venezia era chiara era il mare le calli e i caffé. Era donna danzante era gli occhi di pastelli e di mare era il sole. Era Giugno e bruciava era riverberi e brezza era sguardo diverso. Era desiderio di sogno era riverbero di agili membra era capriccio di vento. Era quieta attesa dell'alba era gabbiano dal volo nervoso era chiaro cielo di sole.
Non era triste Venezia. |
Parla di un luogo, immaginario o reale che fosse, incrociato da diversi dialetti, da parole udite e criptate, da “verità bugiarde” o nascoste.
Parla di un luogo…il cui centro è l’unico di tanti cerchi, asservirti e funzionali, tutti diversi ma uniti da un unico scopo, essere e convincere. Racconta di un luogo dove si ascolta leggendo, dove parole scritte da donne su foglie hanno significati più lunghi di silenzi sillabati .
Racconta dei suoi, sillabati silenzi: ” …Li ho montati, costruiti nella mia mente come versi di un rosario infinito, dolce, struggente, convincente e diverso. Abile come segno tracciato da mani pazienti, li ho versati su panni piegati, prontamente nascosti, salvati…”
Descrive un sogno sparso nel labirinto della sua memoria: ” …ho veduto isole emergere e scomparire con rumore di magie assordanti, ulivi come naufraghi approdare in lidi colmi di barche rovesciate, gabbiani smarriti come aquiloni di bambini sorpresi, viuzze di borghi antichi deserti d’anime ma affollati di cumuli di fango e urla di dolore; ho veduto, immagine sfocata di vergine sgomenta…”
Ascolta, cerca ed attende nuove e più gradevoli fiabe come parole mature di fitte spighe di Giugno.
E scrive del vento…
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La mia la tua mano non può fermare il vento, si lascia passare, e racconta... fra segreti di corpi trascina... Che il vento raccolga... antiche sorgenti, veleni immortali. Ma, lasciamo che frughi, si sparga,riprenda, si affacci.
Che al gioco svanisca,
distrugga se stesso. Ma, lasciamo che frughi. Il vento è tiranno del tempo, bagliore di un nulla. Che voli, che spunti, che frughi. che lasci pudore e sapore.
Lasciamo che frughi.
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Oggi, domani o per sempre, sente che i sapori non si possono più nascondere tra le proprie o altrui mani o scriverli sulle foglie; il vento fiuta le presenze e le incalza, ne rivela il loro essere e fa sentire la sua vittoria.
Il Vento lo lascia nudo da Re, ma nudo.
Le “sue” donne, i suoi figli, gli amici quanto hanno potuto modificare il suo stato?
Forse, ha scelto di continuare a mentire, giocare, trovare, nascondersi, a suo modo amare ed essere; forse scriverà ancora lettere a Natale.
Portarsi i suoi grammi di troppo è la sua linfa vitale.
Il vento lo porta lontano, e continua a scrivere sedotto dal superfluo. In viaggio dimorò a lungo in luoghi dove il tempo è simile ad acqua e anice, e scrisse con parole formate e ridotte, di acqua sollevata da onde dove la dea Ptah realizzò con gli strumenti della ragione la nuova creazione.
Parlò del loto, gioiello di delizie, simile a magnifica fanciulla di nome Padma, signora della danza, emersa da un calice ed in equilibrio fra gli elementi di un'unione sessuale di fiore. Ed un giorno, all'alba...
alba
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Ho seguito, cercato fianchi generosi, anfora romana colma di semènza, seno di nutrice paziente, moneta preziosa.
Ho sparso segnali, impronte segnate. Ho perso le mie tracce; non ho, all'alba, più ritrovato le sue. |
Massimo Pasca –acrilico- il sole
E scrive del sole, eterna sfera in anelli concentrici di terra di fuoco e di acqua, dove il corvo con tre zampe in preda ad un incantesimo esercita la sua funzione di effimero creatore.
se Il sole
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sono cupi i colori, il sole non parla la nebbia lo avvolge si oscura traballa
nessuno si illude è sguardo fumoso è maschera nuova di latte schiumoso
il sole s'avvolge respira affannoso tra quinte del tempo osserva dubbioso,
Ma supera tutto non cavalca più nubi è amico geloso con molti più dubbi.
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E scrive della luna, femmina eccentrica e vanitosa che è la luce passiva di divenire e mutare. Ascia bipenne pronta a colpire come metafora di sapienza.
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