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L'accento

Categoria: arte
Pubblicato: Martedì, 25 Gennaio 2011

L’Accento

due storie in una

breve storia con l'uso della Singlossia nel racconto

 

di Francesco Pasca

 

 

Le ragioni di una ribellione sono da affondare sempre in un immaginario promesso e non realizzato, almeno, queste, dicono siano le più semplici, cioè senza andare a scomodare altri distinguo. Di certo è che, le ragioni sono state sempre al plurale e chi le ha stuzzicate, di contro, perchè dovute sempre ad un singolare riconducibile, al Potere che le ha interrotte dal sogno, quindi, disattese. Per noi europei del terzo millennio nonché ancora cristiani, tanto per essere ancora una volta biblico-evangelici, sono come la ”Terra promessa”. L’Italia in questo ha goduto sempre di un “privilegio”: o con l’occupazione da parte di altri o il potersi ribellare, meglio dire lasciare che ci si ribelli per poi ricadere nell’uguale di sempre, nell’essere-addomesticati, in “gattopardi”.

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Claude - pensiero

Categoria: arte
Pubblicato: Sabato, 07 Novembre 2009

 

La civiltà della globalizzazione

Crediamo di essere così avanzati da non accorgerci di dipendere ancora da alcuneimmensescoperte della rivoluzione neolitica

 

Il 1° di novembre del 2009, in una appena iniziata e tiepida estate di San Martino, questo ci ricordava, consegnandosi alla Storia con i suoi 100 anni, C. Lévi-Strauss: “A tutte queste ‘arti della civiltà’, da otto o diecimila anni ci siamo limitati ad arrecare solo perfezionamenti”. Ci rammentava che la grande rivoluzione post-neolitica, cioè quella scientifica e industriale, è appena cominciata. I tempi geologici di sempre avrebbero avuto il sopravvento, visto che si potrebbe ritenere casuale che essi siano cominciati in Occidente piuttosto che in Oriente o  viceversa. Incalzava, e, ai nostri dubbi, gridava con forza centenaria:

“Odio i viaggi e gli esploratori” […] “viaggi, scrigni magici pieni di promesse fantastiche, non offrirete più intatti i vostri tesori” […] “ciò che per prima cosa ci mostrate, o viaggi, è la nostra sozzura gettata sul volto dell’umanità” […] “ed ecco davanti a me il cerchio chiuso: meno le culture umane erano in grado di comunicare fra loro, e quindi di corrompersi a vicenda, meno i loro rispettivi emissari potevano accorgersi della ricchezza e del significato di quelle differenze. In fin dei conti, sono prigioniero di un’alternativa: o viaggiatore antico, messo di fronte a un prodigioso spettacolo di cui quasi tutto gli sfuggiva – peggio ancora, gli ispirava scherno e disgusto – o viaggiatore moderno, in cerca di vestigia di una realtà scomparsa. Nell’un caso e nell’altro, sono sempre in perdita, e più che non sembri: poiché, io che mi rammarico di trovarmi davanti a delle ombre, potrei forse comprendere il vero spettacolo che prende forma in quell’istante, o il mio grado di umanità manca ancora della sensibilità necessaria? Fra qualche secolo, in questo stesso luogo, un altro esploratore altrettanto disperato, piangerà la sparizione di ciò che avrei potuto vedere e che mi è sfuggito. Vittima di una doppia incapacità, tutto quel che vedo mi ferisce, e senza tregua mi rimprovero di non guardare abbastanza“.

Morire tra un sabato e una domenica è l’equivalente di un concludere una scelta tra il passato e un sistema che si affaccia con una conclusione,  ad una Vita,  forse apprezzandone l’opportunità. L’esploratore solitario iniziava a riempire il suo scrigno di promesse fantastiche. Fra non tantissimo avremmo potuto scrivere 101 anni,  “Claude” li avrebbe compiuti il 28 novembre prossimo. L’uomo che ha speso se stesso per introdurci allo studio del “pensiero selvaggio” ha deciso diversamente.  C. Lévi-Strauss come per quel suo totemismo si è reso conto di non poter isolare arbitrariamente certi fenomeni o peggio ancora raggrupparli per farne come lui stesso ha sempre affermato: “farne i sintomi di una malattia o di una istituzione oggettiva”.  I suoi “primitivi”, oggi , i Blefari, i Merini, i folli, i poeti e gli artisti di qualunque tempo e continente lo hanno voluto  conclamare: Uno dei “loro”.  Il cosiddetto “pensiero selvaggio” (critica dell’antinomia tra mentalità logica e mentalità magica o prelogica) colpisce la conoscenza indigena/primitiva di noi globalizzati.  La Francia ne ha comunicato l’evento. Se ne è avuta notizia con rispettoso silenzio. La sua ricerca nel campo, “l’indagine sull’altro da sé”, Levi-Strauss la iniziava a San Paolo del Brasile nel 1935, oggi, ha smesso di essere introduzione. Le leggi di una logica governata dall’intelligenza, dalle variabili da lui considerate comuni hanno cessato di essere osservate in quel profondo che può essere persino il sogno. Nelle analisi che hanno dato origine alla illusione totemica,  Levi-Strauss ha dato, ci ha consegnato la sua visione del mondo. L’aver illustrato, con ampiezza di significati, la metodicità del farci distinguere le Società in maniera radicale, riconducendola sempre e comunque agli atteggiamenti nei confronti della sua stessa natura, ha condotto a quella chiara progressione aritmetica delle “classi”, ha espresso chiaramente quale posto assegnare all’uomo e al suo presunto meccanismo di procreazione. Come coofondatore delle scienze umane di un antropologismo moderno, così come lettore attento di un rapporto natura/cultura, nodo cruciale dell’esperienza umana, fa sì che diventi anche il coofondatore del Discorso sull’origine della disuguaglianza, insieme al meno noto, ma altrettanto importante, Saggio sull’origine delle lingue.  Sua l’affermazione:

”per studiare l’uomo, bisogna imparare a guardare lontano; non solo: la volontà sistematica di identificazione all’altro va di pari passo con un rifiuto ostinato di identificazione a sé.” […] “A Rousseau dobbiamo la scoperta di questo principio, il solo su cui possano fondarsi le scienze umane, ma che doveva restare inaccessibile e incomprensibile fintantoché fosse regnata una filosofia la quale, prendendo il proprio punto di partenza nel cogito, fosse prigioniera delle pretese evidenze dell’io, e non potesse aspirare a fondare una fisica se non rinunciando a fondare una sociologia e persino una biologia: Cartesio crede di passare direttamente dall’interiorità di un uomo all’esteriorità del mondo, senza rendersi conto che fra tali due estremi si collocano le società, le civiltà, ossia i mondi degli uomini.” 

Anche il concetto di pietas, tratto originario di ogni essere vivente, così come indicato da Rousseau, lo ha portato a considerare:

“L’uomo comincia dunque con il sentirsi identico a tutti i suoi simili, e non dimenticherà mai questa esperienza primitiva”.

Di fatto l’uomo se lo porta appresso come Dna e non può esser cancellato, pena la distruzione della vita in quanto tale. Anche la libertà, sarà suo oggetto di pensiero nella consapevolezza di una Libertà da costruire e da perfezionarsi. (Perfectibilé), la chiamava Rousseau. Ma “Claude” sapeva anche che “libertà” era capacità di distruggere  l’altro da sé e, in questo modo, se stessi. Non si possono dimenticare gli Atzechi. Così come, era lui a ricordarci, i Nambikwara, popoli amazzonici, che fanno parte di quell’umanità fragile al pari di altre umanità, le vittime di ieri e di oggi come gli Indiani delle Americhe, falcidiate dalla barbarie degli imperi economici delle grandi potenze, Ahimè anche dalla cristianità o di qualsivoglia religione.

Il fratello pietoso, discepolo di “Jean-Jacques”, ci ha saputo insegnare, ha saputo dar voce dicendoci: «Il visitatore che per la prima volta si accampa nella boscaglia con gli Indiani, è preso dall’angoscia e dalla pietà di fronte allo spettacolo di questa umanità così totalmente indifesa; schiacciata, sembra, contro la superficie di una terra ostile da qualche implacabile cataclisma, nuda e rabbrividente accanto a fuochi vacillanti. Egli circola a tastoni fra la sterpaglia, evitando di urtare una mano, un braccio, un torso di cui s’indovinano i caldi riflessi al chiarore dei fuochi. Ma questa miseria è animata da bisbigli e da risa. Le coppie si stringono nella nostalgia di una unità perduta; le carezze non s’interrompono al passaggio dello straniero. S’indovina in tutti una immensa gentilezza, una profonda indifferenza, una ingenua e deliziosa soddisfazione animale, e, mettendo insieme tutti questi sentimenti diversi, qualche cosa che somiglia all’espressione più commovente della tenerezza umana». Dei Maori ha raccontato di un universo gigantesco apparentato tra cielo e terra e ce li ha consegnati come antenati, leganti indissolubili fra mare-sabbia-boschi-uccelli-pesci-uomini. Dei pigmei filippini dà lezione sul significato di  conoscenza informandoci della capacità di quest’ultimi a ritenere nomi e descrizioni di innumerevoli piante, di uccelli, della quasi totalità di serpenti, di pesci, di insetti e mammiferi del loro territorio, avvalorando la tesi di un atteggiamento solidale nei confronti della loro stessa natura e quindi di un attento rapporto natura/cultura.  “Claude” ha tracciato gli inizi e gli estremi che uniscono l’uomo ai pesci del mare. Ha tracciato mappe genealogiche estese come memorie conservate tra codici miniati.

I Rami, principali e cadetti, sono separati da sottosezioni patrilineari in cui la capacità nella distinzione è di natura innanzitutto sociologica, cioè utile ad essere codificata in un sistema tribale, in un rapporto di parentela.

Cento anni della sua esperienza sono sufficienti a definirci: Uguali, e, perché no! Anche un poco Diversi”?

 

Francesco Pasca

Poeti

Categoria: arte
Pubblicato: Martedì, 18 Agosto 2009

 

  poiésis

 

     

 

 

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La poesia come ricerca dei nuovi strumenti

 

 

Di  Rossana Apicella    - 1979 -

 

 

 

La condizione attuale della Poesia si presenta con alcune connotazioni fondamentali intrinseche al tempo che le genera.

 

La prima è il riproporsi di un nuovo interesse che la Poesia (nel suo spazio universale di proposte e ricerche) suscita nel fruitore, forse più sprovveduto, certo più appassionato, meno privilegiato ed elitario, del protagonista della fase storica conclusa dalla stagione del Maggio Francese.

 

Se la vicenda del Maggio Francese appare, oggi, come una larva di inconclusa e inconcludente Rivoluzione politica (posto che le Rivoluzioni nate dalla violenza possano determinare una svolta del costume e della situazione reale di un clima e di una generazione), questa esplosione rapida quanto rapidamente riassorbita dalla borghesia che l'aveva, insieme, generata ed espulsa, ha lasciato le sue tracce più profonde nel mondo delle Arti e della Poesia.

 

Il fenomeno più importante è il riproporsi della Poesia come fatto quotidiano, come centro di interesse, come problematica estesa ad un pubblico sempre più vasto e composito.

 

Non è improbabile che a questo riproporsi di interessi fantastico-emotivi, abbia dato il suo preponderante contributo l'espansione della tecnologia a livello quotidiano, come concreto riscatto della dignitas hominis affrancata dalla schiavitù di migliaia di atti faticosi e dispersivi compiuti nel corso di una giornata lavorativa degli anni '60.

Il Maggio Francese è stata la «bataille d'Hernani» della tecnologia liberatrice che, contro ogni utopistico ritorno ad un mitico Medioevo oscillante dai Preraffaelliti alla riscoperta di Gioachino da Fiore, diviene uno strumento di civiltà culturale, estetica, e, forse, religiosa.

 

Abbiamo distrutto l'Arcadia, lo Strapaese, la Mitologia Francescana. Siamo consumisti, per avvicinare, senza stanchezze inutili, la voce eterna delle Arti che nel tempo divengono e si rinnovano.

 

Un secondo fenomeno fondamentale strettamente concesso al primo, è l'assimilazione dei mass­media nel linguaggio delle Arti, anzi, la progressiva caduta della barriera che divideva le Arti Belle dalle Arti Minori; se, addirittura, non vogliamo parlare di un prevalere delle cosidette Arti Minori sulle cosidette Arti Belle (per usare una terminologia desueta ma ancora comprensibile agli epigoni di un senescente estetismo).

 

La prima conseguenza è stato l'attuale fenomeno di una estrema semplificazione del linguaggio: il «linguaggio chiuso», la rarefazione preziosa della parola, la parola che allude ed evoca, sono aspetti di una situazione ermetico-iniziatica che interessa, ormai, solo la sonnolenza del «territorio» inteso come spazio di una cultura borghese. Le posizioni di battaglia si affidano ad un discorso lucido ed esplicito.

 

Cerchiamo, quindi, una Poesia che sia realmente interprete di una situazione storica. Perchè una fase poetica sia realmente impegnata nel tempo, non è sufficiente (direi: non è determinante) una variazione dei contenuti. Polibio descrisse la gloria degli Scipioni, ma la affidò alla lingua di una ci­viltà morente: Polibio scrisse in greco, e la sua lode non raggiunse la romanità carolingia e dantesca. L'opera di Polibio è altamente poetica di stile epico. Tuttavia, Polibio usò uno strumento che, artificialmente rinverdito di quando in quando, non avrebbe valicato i confini dell'età classica.

 

Pasolini operò nell'interno delle strutture della lingua per dare veridicità ai suoi  romantici discen­denti di Fantine e Gavroche: ma gli eroi di Pasolini restarono relegati nella finzione letteraria dalla quale erano nati.

 

La Poesia interpreta il tempo quando si esprime nel linguaggio del tempo.

 

Il nostro tempo lessicale e di costume, è caratterizzato da alcuni fenomeni fondamentali che possiamo verificare nel contatto quotidiano con la realtà.

 

Il primo fenomeno è una semplificazione del linguaggio che tende ad una forma di sintesi sempre più rigorosa. Diminuisce il numero delle parole scritte, e, insieme delle parole dette: è sintomatico, a questo proposito il processo diacronico che rende transitivi i verbi intransitivi, in modo da eliminare la perifrasi espressa mediante la funzione.

 

Il secondo fenomeno è l'istituzione di un linguaggio giovanile a radici monosillabiche di due origini:

1) anglosassone, ma comprensibile anche ai ragazzi che non conoscono la lingua inglese.

2) fonico-evocativa, che si sviluppa attraverso i fumetti e la pubblicità «uff», «ahi», «oh») con diversi significati che sono indicati dall'accentuazione ed intonazione.

 

Questo fenomeno può essere considerato come la tipica espressione del valore acquistato dalla esecuzione fonica di un linguaggio più orale che espresso attraverso la astrazione grafica.

 

Il terzo fenomeno, tipico della più recente generazione, è un uso frequente di un linguaggio a forte carica allusiva, in cui le metafore sono generate a catena, ma con semantica caricaturale e dissacratoria.

 

Questo riproporsi di un linguaggio di immagini, potrebbe essere la strada, il tramite, per identifi­care o ipotizzare le probabili origini di quell'interesse per la Poesia al quale ho sopra accennato. E' curioso sottolineare che questo gioco di metafore, queste invenzioni verbali o semantiche, siano più frequenti nei giovani che sono usciti da una esperienza tecnologica o scientifica, piuttosto che nei giovani di formazione umanistica. Il fenomeno può essere spiegato dalla prepotente azione di regressione culturale esercitata dagli studi classici, dalla gravitas sconfinante in una Rettorica Asiana suggerita dalla lettura di Cicerone o Quintiliano, o, semplicemente, dalla totale storicità di questi studi: che è bello avere compiuti, solo quando sono stati del tutto dimenticati.

 

Il quarto fenomeno consiste nella necessità di una illustrazione, di una spiegazione visiva, dell'incontro parolaimmagine (paraglossia è il termine da me creato per indicare questo aspetto tipico del linguaggio contemporaneo), perchè la carica semantica di ogni espressione del nostro tempo, non può essere interpretata dal solo ed unico strumento verbale. Il nostro tempo ha semplificato li linguaggio ma ha reso infinitamente più complessa la problematica individuale e collettiva; la sola parola non è sufficiente per essere un esauriente tramite semiologico.

 

Il quinto fenomeno può essere ricondotto alla seconda distinzione operata nell'interno del se­condo fenomeno, e, cioè, alla prevalenza dell'aspetto fonico-evocativo nella esecuzione vocale delle radici monosillabiche attraverso le quali sono espressi i sentimenti elementari della sorpresa, dello sgomento, della meraviglia. Questa esecuzione vocale ha due aspetti:

1) se espressa solo attraverso il segno di supersegmentazione, sottintende il gesto

2) se è espressa mediante una immagine, la parola supersegmentata può essere sostituita dal gesto.

 

In ogni caso, potrò parlare di una carica semantica di forte espressività teatrale.

 

Se il messaggio è affidato alla complementarità dell'elemento verbale e idetico, esso può essere di due tipi:

1) statico;

2) dinamico (o: cinetico).

 

Nel primo caso, parlerò di una singlossia (anche se uno dei due elementi è sottinteso) di tipo elementare, che si identifica con gli schemi della scrittura visuale, nel secondo caso, parlerò di una singlossia di tipo complesso perchè alla dimensione cinetica è intrinseca la dimensione temporale, quindi, uno spazio di dimensione idofonica einsteiniana.

 

Tutti questi strumenti sono offerti ad una esperienza poetica inserita nel divenire della nostra fase storica.

 

Dal complesso di questi fenomeni, derivano i seguenti aspetti, o, meglio, le seguenti istanze della poetica contemporanea;

1) rinnovamento della Poesia monoglossica;

2) espansione e assunzione di nuovi mezzi da parte della Poesia singlossica.

 

Da una più recente verifica delle istanze contemporanee, mi è risultato evidente che non possia­mo, per ora, parlare di una fine della Poesia monoglossica. La Poesia monoglossica è, in questo tempo, una distanza viva dei giovanissimi: se la generazione del Maggio Francese auspicava la distru­zione del libro come strumento del Potere, la generazione post-Risorgimentale dei più giovani fruitori di Poesia, tende a ritornare al libro. Il libro si ripropone come strumento di liberazione dalla gene­razione precedente: una generazione caotica, stoltamente eversiva, dissennatamente contestatrice, alla quale si oppone la pensosa austerità degli attuali adolescenti, il senso ieratico della giustizia, una necessità di rinnovamento contro la distruzione globale auspicata dai falsi profeti della generazione degli anni '70.

 

Tuttavia, questa poetica monoglossica non può ignorare la diacronia delle nuove semantiche: soprattutto, la necessità di sintesi e di chiarezza, ma, insieme, l'urgenza dell'elemento fantastico, la più acuta percettività del fruitore rispetto al gioco bisemantico, all'allusione alogica, alla partecipazione all'azione creativa.

 

In questo senso, non dobbiamo trascurare l'aspetto ludico-fantastico della Poesia monoglossica o singlossica) a schede, carte da gioco, dei libri cancellati, dei libri miniati (come quelli, preziosissimi ed ilarotragici, di Pavanello), mentre avvertiamo una senescenza dei poemi-oggetto, anche per la rapida usura del materiale nel quale sono stati plasmati, e perchè la loro linea è frettolosamente invecchiata dal confronto con i mass-media in continua evoluzione di struttura, forma, colore. Il poema-oggetto è, essenzialmente, gioco: e, come tale, appartiene all'area del Dada, con le implica­zioni emotivo-Iudiche connesse a questa espressione di vitalismo contraddittorio, di energia che si sfalda nel disimpegno.

 

La giovanissima generazione sceglie «la Poesia di libro» (o: monoglossica) purchè essa esprima, insieme, la serietà di una problematica logico-esistenziale, e la conquista di una dimensione metaforica del linguaggio. Ma, insieme, questa generazione rifiuta l'autobiologia, l'erotismo violento (ormai svilito dalla sua assunzione nella impassibilità di una operazione commerciale a basso livello), il gesto gratuito, l'accostamento prezioso. Le sottigliezze di Pound, e, soprattutto, dei neo-poundiani, sono sostanzialmente estranee al nuovo discorso.

 

Questa esperienza monoglossica resta, tuttavia, relegata in uno spazio umano ovviamente elitario: non è possibile, per ora, prevedere se questo riflusso, questo movimento di ritorno alla astrazione grafica, siano un fenomeno di breve o lunga, durata; nella presente situazione, il libro esiste, ed esiste come strumento di una semiologia vivente. Se questa esigenza del libro, poi, sia fenomeno durevole o transitorio, non è assolutamente lecito ipotizzare o prevedere: ogni idea in proposito. è del tutto infondata, perchè il semiologo di rigorosa osservanza non può che constatare i fenomeni, non prevederne lo sviluppo nelle future dimensioni spazio-temporali.

 

L'aspetto fondamentale, ed intrinseco al tempo, è la slnglossla, pur non escludendo (come ho sopra accennato) una persistenza del fenomeno monoglossico, ma esso appare sempre, o quasi, sempre, accompagnato, evidenziato, completato da un parallelo fenomeno idetico, simbiotico (anche se non completamente) al fenomeno verbale, e cioè riconducibile alla struttura che ho definito paraglossia.

 

La paraglossia è il linguaggio del poster (precedentemente alla influenza della Poesia Visiva), della didascalia, della pagina illustrata: i due strumenti semiologici, quello visivo e quello verbale, sono accostati, esplicativi l'uno dell'altro, come i testi dattiloscritti della Niccolai, o di altri autori che sono ancora radicati nella misura-libro della loro operazione poetica.

 

Tuttavia, l'aspetto fondamentale del tempo resta la scoperta della singlossia, e, cioè, della complementarità di due o più linguaggi tradizionalmente autonomi.

 

La singlossia nasce dai mass-media, e ad essi continuamente rifluisce, in un costante quanto impercettibile avvicinamento delle cosidette Arti Belle alle cosidette Arti Minori: in qualche caso, potremmo parlare di un processo di soprapposizione o identificazione, se non della già accennata pre­valenza delle Arti Minori sulle Arti Belle. Questo fenomeno si avverte soprattutto nella Poesia Visiva, e, in modo particolare, nella Poesia Visiva a forte carica di messaggio politico o di eversione sociale. La rapida, fulminea evoluzione dei tempi e delle circostanze, il crollo ideologico dell'area del Maggio Francese, la progressiva rivelazione delle autentiche spinte date dal Potere alle presunte istanze eversive, hanno contribuito ad indebolire ed affievolire il messaggio della Poesia Visiva in quella stessa praxiglossia da me identificata ed ipotizzata, e rivelatasi, alla prova dei fatti, sostanzialmente utopistica, almeno, nella direzione indicata qualche anno addietro.

 

Dalla Poesia Visiva, resiste la enorme scoperta di un linguaggio, per ora, identificabile nella sua fenomenologia statica (Poesia Visiva, Scrittura Visuale), come incrocio dell'aspetto idosemantico con l'aspetto fonosemantico, e superamento della Poesia puramente verbale, come proposta futuribile a sterminata estensione semantica.

 

Della possibile evoluzione cinética, mi sembra prematuro prendere coscienza, data la scarsità dei dati concreti in mio possesso: una istanza teatrale esiste, ed agisce quotidianamente sul nostro contesto storico, a partire dall'organizzazione dello sciopero, secondo certi codici visivo-mimici che possiamo quotidianamente verificare nel triangolo industriale.

 

Si apre, ora, il problema di come e quanto questi aspetti singlossico-cinetici possano interferire nella Poesia: a questo problema cercherò di dare un abbozzo di soluzione nella prossima fase della presente ricerca. AI concetto di Poesia Totale, mi sarà ora sufficiente opporre la proposta di una Convergenza Totale: la nascita di un nuovo linguaggio di poiésis che risalga alle radici della civiltà, e della storia del linguaggio come espressione del collettivo interpretato dal singolo.

 

La Poesia ritrovata


parola detta

parola scritta

gesto sostitutivo della parola.

In ogni caso, è un linguaggio unico, e serve per riscattare la Monoglossia dalla sua obbligata "via unica", l'equivoco dei Carmina Figurata, di Apollinare, dei Dada: In tutte queste esperienze, la parola si definisce e conclude in un valore puramente iconico, diviene un fatto visivo, decorativo, ludico, e non basta scrivere la parola ombrello in modo che essa tracci, nella disposizione grafica delle lettere, la cupola di un ombrello aperto, perchè il significante acquisti una duplicità di significato. La Paraglossia è il linguaggio nel quale i due elementi, visivo e verbale, sono posti in posizione parallela, uno dei quali ha funzione didascalica, esplicativa: il titolo di un quadro, una scritta sotto un poster pubblicitario. Infatti non si rinnova un linguaggio scrivendo un testo di tradizione sopra una cartolina postale, anche se decorata da un disegno tracciato da un mittente. Le lettere illustrate da un disegno o caricatura, sono una vecchia e garbata facezia in uso nelle buone famiglie, quando l'epistolario era uno degli strumenti per lo scambio di notizie con i propri familiari e congiunti, sostituito, oggi, dalla comunicazione telefonica.

Rossana Apicella con i suoi alunni al " Calini" di Brescia

 

 

poesia murale a quattro mani

 

 

Le opere sono di:

Mirella Bentivoglio

Michele Perfetti

Eugenio Miccini

Gino Gini

Giò Ferri

Giosuè Marongiu

Giovanni Corallo

Bruno Leo

Salvatore Fanciano

Achille Cavellini

Carlo Stasi

Lamberto Pignotti

Carlo Alberto Muttinelli

Arturo Lini

Franco Spena

Francesco Pasca

 

 

 

poeti visivi presenti alla prima mostra sulla singlossia 1979

Ignazio Apolloni, Mirella Bentivoglio, Jan François Bory, Domenico Cadoresi, Ugo Carrega, Mirko Casaril, Achille Cavellini, Vitaldo Conte, Carlo Marcello Conti, Angelo Mino Doninelli, Flavio Ermini, Jochen Gerz, Michele Lambo, Lucia Marcucci, Silvano Martini, Nino Majellaro, Eugenio Miccini, Fulvio Milani, Luciano Morandi, Luciano Ori, Francesco Pasca, Giancarlo Pavanello, Enrico Pedrotti, Michele Perfetti, Paolo Racagni, Lamberto Pignotti, Luigi Rifani, Demos Ronchi, Vitantonio Russo, Salvatore Salomone, Sarenco, Guido Savio, Franco Spena, Gigi Viola, Rodolfo Vitone, Andrea Vizzini.

 

altri poeti visivi che parteciperanno successivamente

Luciana Arbizzani, Vittorio Baccelli, Marco Belloni, Carla Bertola, Angelo Buscema, Maurizio Camerani, Giovanni Corallo, Salvatore Fanciano, Giò Ferri, Goffredo Fofi, Gino Gini, Bruno Leo, Arrigo Lora Totino, Gruppo Texo Poetico, Armando Ilacqua, Attilio Lunardi, Silvano Martini, Enzo Miglietta, Tullio Montanari, Carlo Alberto Muttinelli,  Vanna Nicolotti, Gian Mario Panizzoli, Sergio Pausig, Beppe Piano, Carlo Stasi.

 

Indicazioni lessicali

Monoglossia. Uso di un solo strumento per trasmettere un messaggio; sia esso un messaggio di fruizione (chiedere ad una persona l'indicazione di una strada, telefonare ad una amica per domandare una ricetta di cucina, stendere la denuncia dei redditi ecc. ecc.), o un messaggio che abbia l'aspirazione di penetrare in zone sottili e segrete della sensibilità, e si proponga come "atto creativo". La Monoglossia può servirsi del linguaggio visivo (disegno che trasmette un messaggio, quadro anche astratto, ma con puro valore iconico), o del linguaggio verbale, nelle sue tre articolazioni fondamentali:

 

Solo con la Singlossia (incrocio di linguaggio visivo e verbale) il linguaggio esprime ed esemplifica il tempo nel quale viviamo e che ha già raggiunto la sua pienezza (anche negativa) in ogni campo che non sia quello del linguaggio di operazione creativa. Intendo per Singlossia l'incrocio del linguaggio idosemantico ( = visivo) e del linguaggio fonosemantico (= verbale) , il punto nel quale i due linguaggi raggiungono la loro complementarità, in modo che l'uno non possa essere comprensibile senza la presenza dell'altro. Pertanto, chiamerò la nostra forma espressiva, non più: Civiltà dell'immagine (che da sola significa ben poco) ma: Civiltà della Singlossia.

 

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