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Baaria:lettera a...

Categoria: cinema Pubblicato: Martedì, 03 Novembre 2009

Baarìa: lettera al Passato e al Presente utopico di un narratore malinconico, ma non di un bambino distratto.

 

Caro amico di sempre,

 

così inizia e finisce Baarìa, con un tempo segnato dallo sciogliersi di uno sputo. Lì inizia la nostra Corsa. Lì inizia il nostro Volo a Quattro, Otto e poi ancora otto di otto, e, poi ancora otto, e, otto, e, otto, sino a rovesciarsi e diventare di Infinite Dimensioni. Lì è corrersi incontro, nel Tempo-Luogo, ed “Addormentarsi” come metafora di un spazio attivo e percorribile, che è poi il Luogo di tutti. Nel film è la Scuola e questo fa sì che quell’insieme di fatti divenga, con consapevolezza, quanto si va a materializzare in ciò che vorremmo o non vorremmo.

Di quella caparbia fuga verso noi stessi e di quella ostinazione ne abbiamo avuto sempre l’assoluta certezza. E’ questa la nostra Storia. Lì è l’incontrarsi e scambiarsi il testimone come un altrettanto “Addormentarsi-Rincorrersi” nello stesso Tempo-Luogo, come metafora di un “risveglio”, che è poi, o dovrebbe essere, quanto di più verificabile è in noi stessi. Tutto questo può essere, diviene frutto di una irrefrenabile fantasia. Anche questo spazio è di tutti, ed è Strada, edè, e diviene per entrambi i paradossi, l’equivalente del più splendido rompicapo nel quale ognuno vorrebbe realizzata la sua Storia, la sua Vita.

Caro, mi è capitato di percorrere ancora una volta quel Tempo, ma non per merito mio, bensì per la lucida interpretazione di personaggi abilmente avvicendatisi nello spazio bianco di un lenzuolo steso in una sala cinematografica. Merito, altresì, di un “bambino” di nome Giuseppe, all’anagrafe Tornatore, regista malinconico e sognatore di un newreal metafisico con la fissa di raccontarci il Nostro Cinema Quotidiano, Storia di noi attori senza Tempo e senza Luogo. Morricone contribuisce ad espandere il fenomeno, a sovraccaricarlo. L’uso delle sonorità così come dei personaggi e delle immagini, è la sua logica interazione. Non sono d’accordo con quanto ho letto su alcune recensioni che, cito a memoria: “…manca cuore e calore. Le energie, le passioni e le idee vengono consegnate all’ossessione per la bella immagine; né che “la tonalità drammatica è cabaret televisivo….(Federico Gironi per Coming Soon); né che può essere considerato un film filo americano da consegnare necessariamente agli americani. Anche questa storia degli Oscar andrebbe ridisegnata.

Baarìa è somma di tre momenti della stessa Storia:

É di un Volo al di sopra di tutto. Una visione catartica di un Luogo non solo su Baarìa, ma anche su qualunque altro territorio il cui privilegio utopico è la possibile visione totalizzante delle cose.

È di una Non Speranza narrata attraverso uno schiaffo ad una generazione che andava meglio compresa e di cui se ne è volutamente persa ogni traccia come di quell’orecchino volato da un orecchio che sapeva e voleva ascoltare, per poi andarsi a nascondere tra le macerie delle nostre certezze.

Caro amico, il terzo è come risveglio di un’utopia ormai impossibile, se mai è stata possibile. Un’altra corsa non più verso se stessi, ma di un treno che questa volta non corre verso la nostra direzione. Che comunque è giusto rincorrere.

Potrei aggiungere una quarta storia, quella suggerita dal narratore malinconico, ma non distratto: recuperare quell’orecchino smarrito con occhi e attenzioni diverse da quelle del nostro passato. Tornatore non è regista “spione”. Attraverso il curioso uso di uno spioncino particolare, quello generato, voluto nel mio-suo-nostro cinema-muro quotidiano, contenitore e facciata, attrattiva e rimorso, separazione e attraversamento, pagina e lavagna, vuole farcelo abbattere.

Le reali fantasie dei rimorsi le vediamo così, attraverso quell’apposita fessura creata per farci riflettere e non solo conoscere. Chi riesce, come te, ancora una volta, ad oltrepassare quel muro, chi non si oppone all’alternativa tra lealtà ed inganno, tra realtà e paradossalmente utopia è il nostro registra-bambino. Quando ho deciso di andare a vedere la pellicola, oltre ad aver letto quanto s’era raccontato ed interpretato sui media, oltre ad aver percorso già un periodo culturale dettato dai miei sessantatre anni e quindi aver avuto modo di sedimentare opinioni e visionare altri bambini-registi, in ordine di tempo e non di preferenza, ho percorso la mia altrettanto non distratta memoria attraverso Germi, Fellini, Antonioni, Benigni. Ho esitato prima di varcare quello spazio ed assistere all’avvicendamento delle immagini di Baarìa, per quanto oggi sia difficile far decantare opinioni, per quanto sia sempre più complicato cernere differenze. Dico questo per quanto ancora una volta viene accompagnato dalla sarabanda mediatica intorno agli eventi e non.

Carissimo, ho dibattuto il tracciato di un mondo dello spettacolo e di quant’altro il nostro palcoscenico è colmo. Meriterebbe uno spazio a parte questo processo di stratificazione forzata da parte dei media. Dicevo, ero tra l’attrattiva, il desiderio di conoscenza e forse la curiosità, così come ero altrettanto consapevole di dovermi porre, che avrei dovuto essere necessariamente al di là di quel muro, l’identico, quello già tracciato da altri film, progetti visivi, di Tornatore. Nel Contesto, cito solo quelli che hanno avuto per me una forte valenza spettacolar-cinematografica (non guasta nei linguaggi non verbali) e riferimento etico, ad esempio: “Il camorrista” del 1986 con Ben Gazzarra, “Nuovo Cinema Paradiso del 1988 con Salvatore Cascio”, “L’uomo delle stelle” del 1995 con Sergio Castellitto, “La leggenda del pianista sull’oceano” del 1998 con Tim Roth, “Malèna” del 2000 con Monica Bellucci. Qui è solo voglia di verificare quanto s’è detto su riviste specializzate, su giornali, fra amici, fra cultori di una cinematografia che spesso langue ed è costretta a ricorrere all’espediente di far “cassetta” preceduto da tutti i “rumori” possibili.

Ritornando al nostro Giuseppe, che è anche Cicco, Peppino e tant’altri, che è sommatoria di tre generazioni di una famiglia di Bagheria e di intorni anche più vasti, leggo di un Peppino o di un qualsiasi altro nome nato dalla fantasia dello stesso Giuseppe. Baarìa è anche Irena la sconosciuta, è la bella Malèna aiutata dai lunghi silenzi come in Roma di Fellini. Baarìa è come scegliere una strada, in questo caso quella nostra, una Casa come un territorio da amare, una donna come per far politica, un modo di morire scritto dalla sorte, un monologo teatrale alla Baricco. E’ come, anche in questo caso, non promettere fama e denaro o spacciare illusioni, nè alimentare speranze, ma diversamente dall’uomo delle stelle, al di là di ogni probabile provenienza etnica, mi fa porre la domanda:

chi è veramente Cicco, Peppino, Irena, Malèna”;

“quali sono il loro sogni”;

“cosa nascondono le prepotenze subite nel loro “misterioso” passato”.

Caro amico di sempre, il film è la Storia. Raccontata in un secolo d’Italia, con le Guerre Mondiali e l'avvicendarsi, sulla scena politica, del Fascismo, del Comunismo, della Democrazia Cristiana e dei Socialisti, mancano volutamente gli ultimi.

Il film è una domanda fatta da un ragazzo della mia generazione ad un adulto: “cosa vuol dire riformista?”.

 

Francesco Pasca

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