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il Varco Singlottico

Categoria: arte Pubblicato: Lunedì, 30 Aprile 2018 Scritto da Super User

RIFLESSIONI AL VARCO DI UN CANCELLO

di Marilena Cataldini

 

Il cancello, ovvero: Ed(essa) è altrove, di Francesco Pasca ( iQdB Edizioni, Lecce 2018) tratta di una storia d'amore.

Oppure la storia d'amore è un pretesto per parlare, per scrivere di altre storie. Per esempio per scrivere di luoghi, per affrontare il tema del tempo, oppure quello del viaggio o del sacro. Per la verità, non è per il fatto che racconti di una storia d'amore che il libro ci suscita interesse. A volte le storie d'amore sono così banali, salvo per chi le vive, ovviamente. Ma questa non è  una storia banale. E non lo è per il modo in cui è scritta.

Dico subito che lo stile di questo testo non è facile, ma se lo fosse non ci procurerebbe alcun interesse. Non ci darebbe le emozioni che invece ci dà. La sua scrittura è particolarissima. Abbonda l’uso del participio passato, ma i verbi vengono utilizzati anche nella forma dell’infinito e questo non coniugarli, disancora la frase dalla realtà descrittiva, dando al significato un senso di incertezza e di assoluto. Gli aggettivi, poi, sono frequentemente usati come sostantivi. Sicché questo è un libro che chiede la partecipazione del lettore. Una partecipazione attiva, dal momento che il testo non è costruito per il lettore in-differente, che vuole dal libro significati precostituiti o verità a portata di mano.  Esso chiede che chi vi si addentri,  non faccia ricorso ai soliti canoni d’interpretazione, vuole apertura mentale, curiosità e disponibilità ad essere sorpresi.

Mi è venuto in mente leggendolo, l’incipit del libro di Maria Zambrano “Chiari del bosco”: il chiaro del bosco è un centro nel quale non sempre è possibile entrare; lo si osserva dal limite e la comparsa di alcune impronte di animali non aiuta a compiere tale passo. É un altro regno che un'anima abita e custodisce. Qualche uccello richiama l'attenzione, invitando ad avanzare fin dove indica la sua voce. E le si dà ascolto.” Così è il libro di Francesco, un centro che bisogna svelare, un regno che lui abita e custodisce.

Alma e Alvise sono i nomi dei due protagonisti e intorno a loro si sviluppa una storia tessuta  con sapiente equilibrio fra metafisica, poesia e matematica. Si parte dal Santuario di Leuca Piccola, nel territorio di Barbarano, dove vi è un complesso architettonico risalente alla seconda metà del 1600 e situato sul percorso tracciato dai pellegrini per raggiungere Santa Maria di Leuca. Qui, la presenza di un cancello sormontato da un grande arco, su un frontale di sette nicchie, quelle che residuano  per la clemenza del tempo, è l’occasione per la trama narrativa. L’indagine è sui luoghi, quindi, ma non solo.  Il Cancello che da un lato è ingresso e dall'altro è uscita, come tutte le aperture presenta dei rischi, come quello di essere bloccati sulla sua soglia e di non andare né avanti né indietro. Per questo è importante il concetto di Altrove. Ma l’altrove, per Alvise può essere motivo di paura, mentre per Alma, è desiderio di conoscenza ed è un mettersi alla prova. L’altrove è anche il territorio del sacro il cui enigma affascina la ragazza e la cattura in un viaggio a Torino per visitare la sacra Sindone.  In questo spostamento, Alma maturerà la convinzione che il sacro appartiene alla sua terra d’origine. Ritornando apprezzerà il suo sud, i cui luoghi erano e restano per lei l'altro luogo, l’altrove.  Un sud che lei ritiene essere l'immagine di altra Sindone.

Se la scrittura non è lo strumento del racconto, ma uno degli scopi per i quali il racconto viene costruito, allora, con riferimento alla Sindone, mi viene da fare una proporzione: la scrittura sta alla storia d'amore raccontata, così come l’immagine del Cristo sta impressa sul lenzuolo di lino. Francesco Pasca, poi, oltre che scrittore è anche artista e forse la Sindone, il sudario del Cristo, non è solo un interrogativo scientifico, oltre che sacro, ma può rappresentare per l’arte l’interrogativo per eccellenza, il mistero per cui l'ombra del proprio corpo viene dipinta, impressa su una tela di lino!É magistrale il racconto che l’autore fa della bellezza femminile. Descrivendo Alma nei due momenti della sua giovinezza e poi della maturità,  l’autore ricorre ad una sorta di rispecchiamento linguistico che fa da contraltare alle due età della donna. Così come belle e poetiche sono certe descrizioni dei luoghi.

Il sincretismo, che percorre tutto il libro, sui luoghi alimenta metafisici ragionamenti. Barbarano, Torino, Edessa: c'è fra di essi un sincretismo anche nel tempo, perché quello che è già stato è qui, ora. Il domani è già stato pronunciato, detto, vissuto. È come se fossimo in un sogno in cui i luoghi che sogniamo, si sovrappongono l'uno all’altro e le  emozioni che sembrano conservare il tempo del loro vissuto, si manifestano tutte allo stesso momento. C'è in tutto il testo una ricerca della verità e c'è perché essa non viene mai dichiarata, ma viene, invece, nominato il dubbio, l'incerto, l’indefinito. Per questo i numeri, la geometria, il riferimento alla matematica, devo dire quasi ossessivo, rappresentano un conforto per la ricerca della verità. Come le dieci P. impresse sulla lapide a Barbarano che nel libro assumono significato diverso dalla realtà, un significato che piacevolmente affianca o sopravanza il reale e che indica un percorso alla storia.

Mi chiedo perché ottenere certezza attraverso l'uso razionale della numerazione. Le emozioni non sono già certe per quello che ci fanno sentire? Alla domanda, sicuramente impertinente, mi sembra di avere trovato risposta in un passaggio del testo, al quale attribuisco il fine di questa scrittura dove si dice chiaramente che la verità di un’idea si può trasformare in una non storia. Che il peso delle parole che possono essere dette, sussurrate, cantate o scritte, si scontra con un quid di indescrivibile che può essere la sorte o il lino di un semantico … In Poesia, si sa, è la P. l’iniziale di parola a far perdere le tracce, lì qualunque passo si cancella e si riscrive, … perché insomma, qui, nel sud, il semantico per un passo da compiere appare enorme sino allo schiacciare e può amplificare le realtà di un’immaginazione (pagg. 76-77 nel testo) . Quindi, parole appesantite dal loro significato storico, ma anche parole da riscrivere in modo da liberare l’immaginazione. Quindi, destrutturazione non solo del linguaggio, ma anche di ogni significato standardizzato ed anche una forma di pacifica eversione contro ogni intellettualismo di costume.

Negli ultimi due capitoli la narrazione  si dilunga sul rapporto d'amore fra Alma e Alvise, sul loro legame e le tensioni emotive. Stranamente quando sono insieme essi sono loro stessi, ma al contempo sono anche ombre. A volte ombre fra ombre, ma reali, consistenti. Ombre che vivono il loro amore. Amanti ombre. La scrittura si fa poetica. L'amore fra Alma e Alvise, preannunciato nei capitoli precedenti, attraversato dalle loro dinamiche personali che ciascuno dei due ha risolto e superato, nell'ultimo capitolo trova una nuova identità. Essi parlano del loro viversi come ombre. Di essere ombre, oltre alla traduzione degli altri perché l'amore è intraducibile. Sicché i luoghi vedono vivere e transitare un racconto che sicuramente c’è, che c'è stato, anche sempre ci sarà e l'amore di Alma e Alvise diviene la proiezione di una presenza, la visione di una storia che qualcuno potrebbe giurare di aver realmente visto e inseguito.

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