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da Edessa

Categoria: racconti Pubblicato: Giovedì, 27 Gennaio 2011

Duemiladieci passi

per il teandrico di Edessa

 

di Francesco Pasca

  • primo passo: dal I secolo d.C. al 544. Anno dell’assedio persiano della città di Edessa e l’immagine teandrica come pallio della città;
  • secondo passo: dal 544 al 944. Trasferimento dall’anatolico-mesopotamica Edessa a Costantinopoli;
  • terzo passo: dal 944 al 1204. Sacco di Costantinopoli, trafugamento e trasferimento della Reliquia da Oriente ad Occidente;
  • quarto passo: dal 1204 al 1353. Un cammino di centocinquanta anni con arrivo della Sindone nella città di Lirey, Francia. Probabilmente lì condotta da un cavaliere crociato;
  • Quinto passo: tutto quello che si è detto ed in particolare quello-quelli della mattina del l’undici di maggio u.s. Dal discorso dell’imperatore Costantino VII  Porfirogenito (912-959): «E dunque riguardo all’impronta della forma teandrica di questo Verbo divino, che si è impressa senza tinta nel tessuto che l’ha ricevuta per la volontà meravigliosa del suo autore, che fu mandata allora da Abgar per la sua guarigione e che adesso per una provvidenza assolutamente divina, è stata portata da Edessa a questa regina delle città, per sua salute e salvaguardia, affinché sia manifesto che essa non manca di nulla, perché essa ha il diritto di prevalere su tutte in ogni cosa.....Quanto alla causa per cui, grazie ad una secrezione liquida senza materia colorante né arte pittorica, l’aspetto del viso si è formato sul tessuto di lino e in che modo ciò che è venuto da una materia così corruttibile, non abbia subito nel tempo alcuna corruzione, e che tutti gli altri argomenti che ama ricercare accuratamente colui che si applica alle realtà come fisico, bisogna lasciarli all’inaccessibile saggezza di Dio".»

La mattina dell’undici maggio, 2010 passi, tanti ne sono occorsi per trovarsi a poco più di un metro dal tessuto di lino di buona qualità o tessuto d'India stimato come quello funebre del Cristo. Tanti di quei passi occorrono per uscire da un dubbio o ritornarvi. Tanti ne occorrono per prendere la geometria di un panno di lino o σινδών (sindon), voce semitica, la cui dimensione è di 4,36 metri di lunghezza e 1,10 metri di larghezza ed oggi divenuto sinonimo di lenzuolo intessuto di storia.

Forse le dimensioni del teandrico, all’origine, erano di lunghezza 4,60 metri. La probabile asportazione per reliquie ha modificato le originali. La stoffa è in un unico pezzo, tessuta diagonalmente con la tecnica del "tre a uno" (filo trasverso della trama alternato sopra tre e sotto uno rispetto al longitudinale) per garantire la robustezza. La spigatura che corre nel senso della lunghezza varia di inclinazione ed attribuisce l’aspetto a "spina di pesce".

Questi fatti, sebbene da me raccontati in un’uggiosa giornata del maggio 2010 accaddero come poi riportati fedelmente e storicamente dagli Evangelisti nei loro racconti sacri.

Anche allora era appena incominciata a Gerusalemme così come a Torino, in una normale mattina di primavera, ma, in quel  nove di aprile del 30 d.C. il giorno dopo sarebbe stata la Grande Pasqua ebraica.

In quelle date fra Vecchio e Nuovo si segna l’intreccio dell’Alfa e dell’Omega così come poi rinvenuto sui sarcofagi paleocristiani con il rovesciamento dell’Omega sull’Alfa. La plurisecolare storia fatta di tradizione e leggenda è l’inizio della presenza di un Telo.

I miei passi mi hanno condotto ad osservare e, nel farlo, mi si è richiamata la vivacità del dibattito, della disputa che ha lasciato e lascia sempre divisi credenti e non e che, in entrambi, si è continuato  e continua a contare quei passi tra convinzioni religiose, antireligiose e lo scetticismo più radicale. Lentamente, la mattina dell’undici, sotto una pioggerellina “novembrina” ed un cielo incerto e minaccioso sono stato risucchiato, dalla lunga coda dei fedeli, accomodato nel ventre molle di una Chiesa sempre più dedicata a ricacciare i suoi sudditi all’interno della serpentesca ricerca nel mediatico e del messianico. L’organizzazione torinese è perfetta. Il percorso, studiato nei dettagli, lascia poca possibilità di stanchezza sebbene il flusso abbia un comportamento osmotico. L’accoglienza è il punto forte dell’evento. Si procede lentamente, ma con continuità e, laddove si presenti l’improvvisa o prevista interruzione, s’avverte il calcolo mediatico, la premeditazione di uno svolgersi accompagnato dallo scandire del tempo, di un metronomo posizionato mentalmente in ciascuno dei presenti. Si contano, in quest’andare, istintivamente i passi percorsi. Torino con quest’evento dà l’impressione di voler ritornare ad essere politicamente capitale d’Italia ed ottenere il primato, soprattutto, di città di capitale cristiana, di sostituirsi alla città eterna in tutte le sue esternazioni. Quell’unità d’Italia compromessa dal Leghismo nordico lascia un solco profondo e si ricostruisce con un altrettanto solco d’aratro tirato dai buoi di un novello Romolo. Torino è “romana” da sempre, si intravede dappertutto con quanto affiora dalle sue fondamenta.  Avverto tutto questo come avverto altresì che, tra oblii e repentine ricerche di verità, che non lasciano alcun dubbio sulla verità del problema, esiste il commento di Yves Delage, del biologo agnostico dell’Accademia delle scienze di Francia nel 1902: « Si è introdotta senza necessità una questione religiosa in un problema che, in sé, è puramente scientifico, con il risultato che le passioni si sono scaldate e la ragione è stata fuorviata. »

Il suo ostendere ciclico quasi decennale, eccezione fatta in occasione del terzo millennio, il 2000 anno giubilare, che ne ha, poi,  dato un nuovo inizio, suscita e susciterà dispute circa l’incontestabile corrispondenze dei dati fra scienze sperimentali e il racconto dei Vangeli, delle usanze e dell’ambiente della Palestina del I secolo d.C.

L’ostensione ha le sue tappe i suoi studi. La prima commissione scientifica di studio fu istituita nel 1966, poi nel 1978, dopo l’ostensione celebrata nel quarto anniversario del trasferimento della sindone da Chambery a Torino, si effettuarono le analisi sul lenzuolo funerario. A Zurigo, Oxford e Tucson grazie al metodo del radiocarbonio (14C), non vi fu accordo totale neppure tra la scienza. La datazione radiometrica daterà la stoffa del lenzuolo in un intervallo di tempo compreso tra il 1260 e il 1390 d.C. così come i materiali di origine organica rinvenuti furono ascritti in una zona compresa tra Gerusalemme ed Ebron, concordando così con quanto riportato nelle scritture.

Nell’incontestabile fisico dei dati, ero lì immerso e sommerso. Nel mio pensiero non v’era, non poteva esservi l’incontestabile fisico della «risurrezione fisica» (Paolo VI) ma, solo l’immagine frontale e dorsale di un corpo alto circa un metro e ottanta centimetri e di costituzione longilinea con barba e capelli lunghi.

La fisicità, la varietà immaginabile la misuravo con quanto di peculiare è nel concetto stesso di «fisicità». Le tracce dei fluidi, del sangue li misuravo con la coerenza anatomica. Ecco la geometria, ecco allora l’analisi dei pollini nel lenzuolo. Ecco l’impronta umana o qualsiasi impronta che non poteva essere solo mistero. Nel mistero ritenevo, fra me e me,  “non può esservi la storia”. Nei meccanismi di formazione di una qualsiasi impronta non vale l'immaginazione. Un fenomeno fisico è quello che appare e deve essere spiegabile e riproducibile. Le geometrie come qualsiasi misura meccanica o termica di un corpo verso il suo esterno sono fenomeno proiettivo e radiativo riproducibile sebbene sia molto particolare e difficile quella riproducibilità fisica. La mattina di quell’undici maggio mi ritornavano le corse da bambino fra le lenzuola di lino di mia nonna, quelle sventolanti al sole ad asciugarne e a sbiancarne le macchie. Mi tornavano come cloasma o lentigo senili sulla pelle, come vistose chiazze brunastre nelle differenti intensità delle loro fibre che coloravano la mia fantasia  e s’andavano a sovrapporre come proiezioni radiative di una disidratazione e di una sua conseguente ossidazione sul quel piano verticale, su quel lino.

La mia attenta osservazione data da una rispettosa distanza urtava ed urlava la diversità con le distanze diversificate degli altri.

La mia proiezione sino all’avvicinamento totale mal si coniugava con chi non aveva bisogno di quell’avvicinamento forzato, con chi si manteneva distante ed inginocchiato.

Quel dubbio, in loro, non era presente come nella prima ostensione pubblica, quella a Lerey, in Francia, nell’anno 1357. Quella venerazione popolare era l’attribuzione totale di veridicità della fede al sudario in cui era stato avvolto il Cristo.

Quel mio voler essere osservazione scientifica sembrava suggerire l’incompatibilità di una spiegazione che poteva andare al di là della stessa conoscenza scientifica.

L’istante di quel passo, l’ultimo dei duemiladieci passi, era Il Corpo avvolto che, in quell’istante, aveva abbandonato l’involucro, oppure che era il corpo divenuto, attraversato e lasciato tra il vuoto del contatto del suo lino e la mia certezza. Seguivo ed ascoltavo il racconto di Giovanni: «Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”. Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro (da Giovanni 20, 1-4). […] Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette».(da Giovanni 20,29).

Quella mia posizione era la stessa del vescovo di Troyes del 1389: «… artificiosamente dipinto in modo ingegnoso» poi ancora quella di Clemente VII del 1390: « … dire ad alta voce, per far cessare ogni frode, che la suddetta raffigurazione o rappresentazione non è il vero Sudario del Nostro Signore Gesù Cristo, ma una pittura o tavola fatta a raffigurazione o imitazione del Sudario» poi ancora, come i pontefici moderni, da papa Pio XI a papa Giovanni Paolo II, affermare il convincimento a favore della sua autenticità.

La ricerca palinologica è stata sinora la vera protagonista. Gli studiosi hanno operato sul tessuto sindonico attraversando  l’area siro-palestinese, quella anatolica ed infine la zona alpina italo-francese, hanno dettato, segnato le tappe più rilevanti e, queste, non sono state confutate. Alla fine del mio percorso, invece, cordialmente, la voce dello speaker mi invitava ad abbandonare, altri passi stavano e dovevano concludersi. Sollecitato, ho riposto, piegato il mio panno di lino in riquadri, l’ho smontato, ricostruito nella mia mente come versi di rosario infinito, convincente e diverso, abile come segno tracciato da mani pazienti. L’ho riversato, l’ho prontamente nascosto, salvato … Per chi vuole approfondire è in libreria, per le edizioni Dedalo, la ristampa de “ E l’uomo creò la Sindone” di Vittorio Pesce Delfino.

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