l'interrogativo surrealista
Aiuto!
M’è caduto l’interrogativo.
Il mal d’essere, Poeti e Poet’astri.
E, i surrealisti?
di Francesco Pasca
Premessa surrealista: Non nel veleno per anime “forti” dove non c’è humor ma “seria” poesia e incazzata protervia mimata da arriccio di ciglia accompagnata da scazzi, non in animi sufficienti per stronzate dette da altri, non nel luogo all’insegna del male che è ovunque, PoetA-Astro, non è lì quel territorio e il tuo racconto.(da pensieri minimi di f.p.)
Poesia surrealista di Louis Aragon(1897–1982): La realtà (favola da «il contadino di Parigi») «C’era una volta una realtà/con le sue pecore in lana reale/la figlia del re passava per là/Le pecore belano Dio quant’è bella/ la re la re la realtà.[…] altà altà la re/altà altà la re
altà/La reà la reà/eà/la re la realtà/c’era una volta la REALTÁ.»
Vale la pena dire la verità? Beninteso, quella sulla salute letteraria intendo, l’opinabilità generalizzata è lasciata alla divulgazione del singolo.
Bene! Si scriva Ahimè!
Se si verga, vorrà pur dire che è stata posta una domanda preceduta da una affermazione, dallo sgomento provato?
Si scriva Bello!, poi, anche Brutto!
Se s’adopera vorrà pur dire che vi è stata ragione cercata con precedenti domande. Sarà forse per meglio capire? Nel ritornello di sempre, questi, i diranno: suvvia, occorre essere tolleranti e si consiglierà l’essere ecumenici. Se si tace è meglio. Se si scrive, solo in quel caso, le verità potranno essere tante. Se vi è il “criticare” si usi il tonante dire, per costruire; se vi è il “reclamare” si usi educazione, l’equivalente dell’usare mattoni di sabbia per quando si andrà a porre l’affermare.
L’ahimè non è più la serrata meraviglia dubitativa, riflessiva, esclamativa. Il bello e l’essersi immerso, casualmente nel brutto, quindi, potrà andare a farsi bacchettare, qualcuno ha deciso il contrario con: è inutile chiedersi, cercare, basta bagnarsi e lasciarsi scorrere; è il sufficiente; è l’identico del tacere; è l’indispensabile per essere di tutti; è il più remunerativo degli atti da compiere per il tuo animo di imbelle non surrealista.
Nell’humor rimbalzante, dunque, sguazza il surrealista. L’Egli proviene dalla parola venuta da lontano e con il leggero venticello dei quartieri d’inverno dove vi è scritto:«cave canem!». Oppure, è negli alvei del: «dove corre?», o nell’effetto ottico da Fata Morgana, o ancora (da-lì) dov’è il punto debole dell’interrogativo e tra le uova al burro o alla coque. Lì, dunque, v’è il Surrealista e l’adorata Poesia.
Verità questa, beninteso, solo per un maledetto Poet’Astro fermatosi a sostare vacillante ed orbo nel luogo delle domande e dell’elidere.
Chi vive fuori dall’humor, dunque, è chi crede di dettare le leggi del come leggere, del come scrivere e non fa spirito né proposta, almeno non dallo scoppiettante rimbalzo così com’è inteso da nui-autri(noialtri), con attenzione pietrificante d’imbecillità e di un semplice distinguo; con l’assolutamente relativo e fuorviante.
Chi vive nell’humor rombante, corroborante e nel più di un tantinello dadaista, dunque, non tace, e, in una garbata querelle, scrive di altri dicitori-poeti e dicitori-poet’astri affiancando le sue.
Chi vive nell’humor surreale non pone veti ma fa peti e pensa alla fortunata esistenza delle vocali, alla semplice “O” che salva i peti dai P(O)eti.
Siffatta prima condizione di umana certezza diventa anta d’armadio utilizzata per aprire, chiudere all’uopo e depositare la: «questione poetica e narrativa, ma anche tant’altro». Nella seconda si divaga lentamente, si è abbandonati nell’atteggiamento di insensata assurdità dell’humor da armadio sempre aperto.
Fra nui-autri, (noialtri), in pochi associano e conoscono i tre nomi all’anagrafe di chi qui scrive: Francesco, Antonio, Ercole.
Nomi per omaggio ai nonni, paterno e materno. Quindi, sorti nate con me ed in me come è anche quella dell’essere nominato Ercole.
La figura di Ercole da sempre ha stuzzicato fantasia e, per non essere stato il mio primo nome, ne ho fatto il non ultimo “punto” di riferimento rinforzato.
È qui che è ritornato il Punto, l’interrogativo analizzato nella sua forma segnica, è apparso con l’esile base di un’interpunzione sormontata dall’ampollosa vigoria di un uncino, del precario che attende la spinta al cadere o dell’agganciare.
Associato all’aggettivo o alla forma complessa di un dubbio è divenuto il male che amplifica il possibile bene.
L’Ercole ritorna dalle fantasie accumulatesi e associabili. La più ilare è del 1962, per l’anno di un compagno dagli ondeggiamenti e rimbalzi, per un regalo avuto con i punti dei formaggini Galbani. (da qui: mai perdere punti ma accumularli, nella consapevolezza che non tutte le ciambelle nascono con il buco.)
L’oggetto amico fu in quell’allora il Pupazzo di plastica gonfiabile, alto un'ottantina di centimetri la cui parte bassa veniva riempita d’acqua per dare stabilità ma anche precarietà controllata. L’omino poteva essere trattato in tutti i modi possibili, mai era il suo rovesciarsi, lì e sempre lì il rigorosamente in piedi.
L’oggetto era simpatico anche nei colori, riproduceva le fattezze di un famoso Paolo [Panelli], testimonial negli spot di altro mitico ricordo, Carosello.
Non trascurabile l’altro giochino: quello della pallina pazza, del punto e del suo rimbalzo disordinato, dell’imprendibile sua imprevedibilità.
Fare un po’ di conti è trovarsi nel ’62, avevo 16 anni, ero in un mondo già cresciuto per simili sciocchezze. (così ricordo andasse la vita del già surrealista-dadaista)
L’Ercole è vissuto così, alternando questo ai tanti altri ricordi.
Nell’idea è ancora il precario immaginario e rimane l’espressione dell’essere fuori dalle regole e, al contempo, asseconda la legge alla quale non si può disattendere, la legge fisica insita all’interno di ogni meccanismo.
L’interrogativo per questo “diversale” comportamento fra l’essere e il d’essere affascina e conduce. Induce a pensare che, atti corrispondenti non sono solo quelli dei corpi ma anche quanto di più sofisticata testimonianza umana può, nell’imprevedibile, coesistere nel quotidiano, nell’inopportunamente, chiamato: dello scibile e dello scrivere, del dichiarare e dell’affermare, dell’appartenere al bene e al male, dell’amplificato amplificabile.
È molto difficile scoprire o valutare la legge, insito che non si può disattendere, per questo vi è, per alcuni, l’assoluto e non il relativo, il divieto e il diniego e non il reale immaginato.
Leggerescriverepensarefardicontosbagliareinterrogarescopareecc ...
...tuttorigorosamentattaccatopossibilmentesovrappostoesimultaneo, è da surrealista.
Si sa?
Il resto è solo …
Nella Verità del sovrapporre, in questa pratica di verità-realtà, la legge dell’interrogarsi o dell’interrogare, spesso, si sostituisce con la legge del lavarsi ed essere lavati, del lasciarsi lavare, dello scorrere. Si dice con enfasi: con il piacere di leggere, non molto diverso dall’interpretazione molto personale del pantarei.
Si fugge, si crede di fuggire, ma non si va nel surreale. Nel più, s’imbocca il ridicolo dell’abbandonarsi a ciò che si crede catartico e non lo è.
È l’identico del trovarsi a cospetto del solo meravigliarsi o del pensiero: “non capisco, chè … stronzata.”
Il gioco è nel sottile, è nell’abile dell’altro che ti vuol sorprendere, ma non puoi comprenderlo.
Si sa?
Nello scrittore che pretendi di leggere, la regola, la legge insita, ti sfugge, non t’accorgi che vuole sostituirsi a ciò che non vuole essere, né regola, né legge.
La poesia, qualunque altra sciocchezza dello scrivere e del fare, diviene, per tutto questo, l’interrogativo accompagnato dalla pazzia di un punto, è l’Ercolino sempre in piedi, è la follia dell’interpunzione; fa tutto ed ha, stranamente, conservazione della legge. Per carità mai stabilire il cosa è degli gli altri, non di nui-autri almeno, ma di chi non ha da fare per se stesso, per il proprio Ercolino, appunto.
Pare, questa, sia pratica «intima».
In tutto questo baillame segnico c’è chi parla e chi scrive, chi crede di depositare e vestire l’arrogante saccenteria della “variante” assoluta del non dire, salvo utilizzare altre risorse e continuare a non sapere che dire e fare.
Per fortuna soccorre la pazza pallina che può tutto. Ma l’imprevedibilità del saltellare può, per surrealismo, anche scrivere?
Può, per se stessa rendersi ancora più pazza ed imprevedibile? Si sa che è surrealista?
NO!!!
Non puoi essere pallina, perché sei coda nel serpentone da esodo agostano con riflessi da dinosauro, sei la sfortunata genia parossistica di chi indica l’esistenza del male e del sapere di essere “Poet’Astro” e di tant’altri, assegnati da altri, nell’essere i bonaccioni fautori d’accozzaglie parlate e scritte.
Intendiamoci. Tutta brava gente che comunque esiste e che merita d’essere, se esiste, e, per quanto maldestramente, è anche gioiosamente preposta ad assolvere, e a scherzare su, con: vi sono dapprima i poeti, i fini dicitori, gli scrittori di penna neurale e calamaio, poi tutto il resto.
Pazienza! I surrealisti sono fatti così, hanno solo l’accoglienza del vaffanculo, così com’è il nostro interrogativo, d'altronde, gli amici Franco Fortini e Lanfranco Binni non avrebbero potuto spiegarcelo meglio e lo hanno dimostrato con una mole enorme di lavoro sulle spalle, non ultimo, con le 250 e passa pagine de “Il movimento surrealista – Autori, opere, testi, profilo storico, cronologie, bibliografie e illustrazioni”, così come sapientemente riportate per la Garzanti e per ben tre edizioni, l’ultima del 1991 ISBN 88-11-47305-5. (proveranno a leggerlo?)
E, la Poesia, la scrittura? E l’Allora? Forse s’è capito cos’è?
Non è Poesia!
Ma cosa avete capito. Lo Scrivo meglio: «da sempre» è stata surrealista, «da sempre» è la donata dai surrealisti? (qualche domanda?)
Non è stata certo lavacro per chi crede di immergersi e levarsi lo sporco con il più semplice dei filtri, dell’omeopatico catalogo della «catarsi»!
Per i nui-autri, contrapposta, è la catarsi surrealista del «tanta acqua», quella dell’uccellino:«Belli fuori e puliti dentro»
Mhahhh!
Far scavalcare il muro della menzogna, svilire, svellere qualunque idea post romantica e di condanna; far prodotto di vero «lusso» per borghesia passata al silenzio delle attività essenziali del comprendere e del domandarsi non sarà cosa buona, né utile.
Non attendetevi altra provocazione surrealista da contrapporre all’altrui “verso” che non è “uni-verso”.
Quanto scrivere grande l’esclamativo?
Quanto vacillante l’interrogativo?
Quanto esplicito il procedimento di creazione poetica collettiva chiamato ”Il cadavere squisito berrà il vino novello” (Il nome di questo procedimento fu inventato su suggerimento di André Breton nel 1925.)
Per usare questo metodo occorre essere pitto-letto-scrittori, Poet-Artist’Astri. Per così che non è poco. Cari P(o)eti, incominciate dalla parte superiore di un foglio, poi piegate quella parte e lasciate una piccola striscia disegnata. Il dopo sarà dell’altro che ne dovrà riprendere il disegno, cosi via, via, sino a giungere al diversale.
Chissà se il parolaio potrà mai farcela.