il cappello
Datemi un “cappello” e vi solleverò il mondo,
“quando, lo dico io.”
di Francesco Pasca
Date un “cappello” e il nuovo possessore ne farà il migliore degli usi. Date un grado appena visibile su quel “cappello” e lo vedrete trasformarsi in un grado degno di un condottiero. Date l'autorità e vedrete un’autorità nonché l'abuso.
Sin qui niente di nuovo sotto il sole, è il quotidiano da prendere come pillole di saggezza. Di solito scrivo racconti e, così come ho imparato e gusto. Lo faccio con ciò che, comunemente, è l'ingrediente minimo per uno scrivere, con la magia di un tastiera o di una penna. Lo faccio con il surreale o il nonsenso, con quanto può essere ricondotto al classico: Non e' un capello ma un crine di cavallo uscito dal …, e, a volte, faccio assumere valico da ottenere la paziente costruzione di quel non reale. Questo pregiudizievole e per me piacevole e ingannevole intoppo non mi ha mai impedito di scrivere sul quotidiano, sul reale-reale, sul vissuto. Per questo, è dell’avventura quotidiana che voglio parlare, della mia personale avventura generata per aver un disturbo visivo all'occhio, al mio guardare "sinistro”. La necessità ha costretto me a varcare per più di qualche giorno il cancello della pratica per curarlo, dell'Azienda Ospedaliera di eccellenza del nostro profondo Sud. Solerte come sempre e con dovuto appuntamento mi sono presentato al cancello, al valico di frontiera del chi è nel bene e nel male e fra chi dona e riceve, fra chi amorevolmente fa visita o si cura.
Giovedì 28 giugno, alle ore 9.40 ero ancora una volta a bussare a quel bene e a quel male per la mia seconda operazione chirurgica programmata alle ore 10.00. Come sempre mi sono accodato con l’auto, a chi come me aveva bisogno di entrare e a chi come me altre volte avevano bussato e ottenuto. Ma il giorno non è il giorno, e Il “cappello” non sempre è lo stesso “cappello”, infatti, solerte, dopo il mio buon giorno ed l’aver proferito il motivo e il nome del medico che dovevo raggiungere, quel “cappello” ebbe a fregiarsi e a intimare l'ALT, per quella frontiera, alla mia compagna, a colei che mi accompagnava per giusta situazione. Ero, pertanto, invitato a desistere tanto da far accostare la macchina e intraprendere il parlare, quello dei massimi sistemi che attanagliano questo mondo. Duro come la roccia non so se capiva e se io altrettanto capivo il massimo di quei sistemi, ognuno ronzava per il proprio verso. Per certo era che avevo di fronte a me un uomo non identificabile per il servizio che doveva svolgere perché indossava indumenti della sua ordinanza quotidiana, niente “berretto” e niente contrassegno distinguibile per un’appartenenza ad una benché minima struttura pubblica. La Civitas di don Tonino Bello e del Card. G. Panico. La città era l’inespugnabile e la situazione poteva dare adito all’essere molto simile a quanto rappresentato nel tributo del Masaccio o all’assurdo-surreale del film “non ci resta che piangere” con: «Quanti siete? Cosa portate? Dove andate?» Vedere, con un occhio, nel frattempo, quel valico normalmente percorribile non è stata buona cosa se pur, il tutto, fosse accompagnato dall’ossequiato e dal disponibile dell’ossequiante “berretto”.
Conclusione. Ho pensato alla cosa per me più ragionevole. Ho atteso una nuova fiumana e spinto da quest’ultima, la mia compagna ha potuto accompagnarmi nel tanto desiderato reparto. In parole povere, distratto e disatteso il “berretto”. Ma i “berretti” sono vigili e imperscrutabili tanto che son mossi dalla solerzia e ne fan virtù e anche scrittura prendendo il numero di targa del mio autoveicolo. Immerso nel mio massimo che è minimo sistema non mi è stato possibile capire tanta solerzia e il perché dal momento che, esaurito il compito per il quale ero andato, ho trovato l’autovettura al suo posto così come correttamente parcheggiata dalla mia compagna. Il surreale si è consumato così, come era giunto ma con l’aggravante di una possibile ritorsione. La casta diva Fornero il giorno prima aveva tuonato: “ il lavoro non è un diritto …”. Da non ministro e da non tecnico: “Il “cappello” quando non è professionalizzato è giusto pagarlo per farlo vivere ma molto meglio lasciarlo lontano dal bene pubblico, dei comuni mortali, dai bisogni della gente reale. Non possiamo far promettere di “sollevare il mondo.” Mi deve essere sfuggito comunque qualcosa, forse, non ho ben capito che, il “cappello” non è solo luogo comune ma anche estremo “bisogno”.
Anch’io alla Fornero rivendico il mio “berretto” e, per questo, scrivo i miei numeri di targa sufficientemente surreali.
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