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la bell'addormentata

Categoria: cinema Pubblicato: Lunedì, 10 Settembre 2012

Tutti “Belli” e “Addormentati”

 

di Francesco Pasca

Di Vita e di Quotidiano si vive, così si ammala e muore l’uomo. Sono questi i fattori, da sempre, riconducibili a qualcosa che tocca noi da vicino e a volte si manifestano come “Fiaba”. Come tutte le fiabe, a qualsiasi cultura appartengano, hanno elementi comuni (protagonista, antagonista, ostacolo da superare, aiuto esterno ed estremo, obiettivo da raggiungere).
Siamo pertanto portati ad essere tutti Alice nel paese delle meraviglie, siamo tutti addormentabili o già addormentati. Per questo, vita e fiaba hanno caratteristiche analoghe come l’indeterminatezza. Il linguaggio utilizzato per descrivere è sì da narratori, ma per il popolo, e, per il popolo, si deve essere semplici e diretti.
Ieri sono stato al cinema, ad intrattenere il mio tempo con l’ultima opera a firma di Marco Bellocchio. Ho riletto, a mio modo una “fiaba”. Di quel quotidiano ho rammentato le frequenti prese per mano con: «Cammina, cammina...», «Cerca, cerca...».
Nel leggere quelle sequenze ho pensato che il tempo deve avere caratteristiche proprie e particolari, infatti, nel mio “sogno” non aveva ragione di esistere il tempo, per questo non ho potuto posizionarlo in un periodo preciso o impreciso e, non a caso, l’ho ricordato con «Tanto, tanto tempo fa...», «C'era una volta … in un paese lontano... vicino, vicino …».
Il percorso da me fatto è stato un rito d'iniziazione. Ho pensato - siamo tutti nati e già predisposti per essere o diventare “belli” e “Addormentati”, per subire l’ardire di essere nati.

Nel racconto ho veduto l’inverosimiglianza, quella spesso assunta per determinare i personaggi, i tempi che vogliamo. Per mio comodo sono divenuti inverosimili, lontani dal quotidiano (i fatti narrati accadono sempre agli altri?).
I personaggi sono per questo divenuti i concetti astratti derivanti dal bisogno e ne ho fatto valenza di quel che è detto normalmente male, bene, dolore, ecc. Come in tutte le favole ho lasciato affiorare la morale, il rappresentato distinto e ho avuto fra le mani la solita moneta, due facce (i personaggi sono buoni o cattivi, sono furbi o stupidi, sono). Della ragione ne ho assunto un unico comportamento e lo scrivo.
Ho pensato anche ad un pizzico di magia, non guasterebbe. Mi son detto - Meglio sarebbe se la intercalassi alla reiterazione e alla ripetizione. Esiste da sempre una ricorrenza narrativa fatta di frasi, di formule magiche, ancor meglio se quest’ultime vengono dedicate al santo di turno, per l’attesa o avere pretesa di miracolo.
Come in tutte le Favole non può mancare l’apoteosi finale dove i buoni vengono premiati, le fanciulle povere diventano principesse, i giovani divengono principi.
Per tal motivo ho coagulato tutto ed è apparsa la famiglia e le istituzioni. Persino l’essere coraggiosi, “onesti” fino a sfidare le autorità per migliorare l’altrui destino dove il sogno ci porta e ci trova, mi ha lasciato finalmente nudo. Mi sono servito ancora una volta dell’archetipo.
Gli archetipi -mi son detto- governeranno l'inconscio e si esprimeranno nell'immagine del grande bosco e quasi sempre verrà in aiuto un vecchio, un saggio, l’archetipo dell'anima, del giudizio, della concentrazione mentale, ossia il mio modello comportamentale.
Così è che, vedendo il film di Bellocchio, è nata la “fiaba” di sempre: «Tanto tempo fa, non in un paese lontano ma vicino vicino accanto a noi, proprio sul nostro stesso pianerottolo di casa, vive da sempre un “Re” con la sua graziosa Regina. Questi hanno una figlia. Come tutti i Re festeggiano la sua nascita. Tutti portano doni, auguri. Alla festa giungono tre fate buone, si avvicinano alla culla, offrono i loro doni. “Sia la bellezza", dirà la prima; “sia dolcissima" dirà la seconda. La terza appena si accinge ad offrire il suo dono di “felicità” una folata di vento la sopraggiungerà e si presenterà una quarta, ma Malefica strega, annunciando: "Anch'io voglio fare un dono e dispongo che, prima  del calar del sole sul giorno del suo ventiduesimo compleanno, la “Libertà” si punga il dito con il fuso di un arcolaio... e che muoia!".
Interviene così nuovamente la terza fata, che non aveva fatto in tempo ad offrire il suo dono, dirà: "Non disperate! Non ho il potere di annullare questa terribile maledizione ma potrò essere d'aiuto. Il fuso è vero la  pungerà, ma non morrà; si addormenterà e dormirà fino a quando non riceverà il dono del vero amore!".
La fanciulla per lunghi anni così crebbe e, nell’indeterminatezza di quel suo tempo, passò tanto tempo. A quel tempo, termine del suo tempo, si udrà una voce che ordina: "Tocca il fuso!". Libertà così si punse il dito e cadde al suolo sino a che un uomo buono non corse dove giaceva la bella addormentata, la baciò delicatamente ... e la bella principessa si “destò”. Quel giorno sorrise il mondo e visse felice e contenta!
Bellocchio ha descritto sapientemente tutti quegli elementi che contraddistinguono una storia vera che ha l’impossibilità del giudicare, del distinguere le certezze e il saper decidere. Il presunto è il male così come  il presunto è il bene. Queste diverse “Libertà”si affrontano e tentano di diversificare le ragioni del loro costrutto. Nell’imprevedibile il Male ed il Bene si uniranno e si sovrapporranno. Avviene nella storia dei protagonisti.
Accade per Maria e Roberto (Alba Rohrwacher e Michele Riondino) nel ruolo di occasionali amanti;
Per Pipino (Fabrizio Falco) attivista del movimento per l’eutanasia con il fratello Roberto(Michele Riondino);
Per (Toni Servillo con  la stessa Alba Rohrwacher nel ruolo di padre e figlia);
Per (Isabella Huppert con Giammarco Tognazzi nel ruolo di marito e moglie);
Ancora per la stessa (Isabella Huppert e Brenno Placido) nel ruolo di madre e figlio. Prevarrà la conflittualità religiosa di lei per il coma irreversibile della figlia e la privazione di lui per la mancata realizzazione dei sogni. È il figlio che tenterà di liberare la madre e la stessa sorella.
Sarà l’identica storia per Rossa e Pallido (Maya Sansa e Pier Giorgio Bellocchio) nei ruoli della tossicodipendenza e della laicissima deontologia medica, tutto nell’estrema lotta fra il suicidio consapevole da evitare e il suicidio lento ed inesorabile dettato per necessità.
Ed ancora, sarà così per il senatore Beffardi (Toni Servillo) nel rapporto con il partito di appartenenza, il (P.D.L.);
(Roberto Herlitzka), lo psichiatra, è il vecchio saggio, è l’anima pratica delle favole. Apparirà brevemente con indifferenza e saggezza e con il dire e il consigliare. Con l’affermare: «I politici sono dei malati di mente», fa la forte affermazione che scuote altre vicende.
Nel film c’è tutto, c’è il clamore suscitato dal caso di Eluana Englaro. Bella Addormentata colpisce molto, rivela l’accurato impiego per un’espressione corale di punti di vista sui temi dell’eutanasia e della libertà. Eluana è l’emblema narrativo sintetizzato nei messaggi parlati dai vari personaggi.
La Cei promuove, con prudenza, il film del regista Marco Bellocchio anche alla luce della recente morte del Cardinal Martini, probabilmente rammentando le sue parole ed intenzioni.
La visione che ha Bellocchio della Chiesa, qui mi consento una personale interpretazione, è tutta nella figura interpretata da Isabella Huppert. In chiusura del film mi sembra ancora più evidente ciò ed è fortemente presente nel soliloquio fra veglia-sogno, nello strofinarsi le mani con l’intento di una difficile pulizia da macchie impossibili da cancellare.
Una pellicola discorsiva complessa e problematica, opportuna per ulteriori dibattiti. Da vedere per rifletterci al di là dell’apparente cauto peso dato alla problematica e al senso vero di Libertà.
Bellocchio a differenza del sottoscritto non ha voluto scrivere una favola, non ha voluto l’epilogo del “vissero felici e contenti”. Andate a sentirlo, a vederlo con il vostro senso di Libertà!

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