
UNIverso
Hugo Cabret
Se il treno ci corre contro è la fantasia che ci travolge.
di Francesco Pasca
GENERE: Avventura, Fantastico
REGIA: Martin Scorsese
SCENEGGIATURA: John Logan
ATTORI:
(Hugo Cabret)Asa Butterfield, (Georges Meliès)Ben Kingsley, (Isabelle)Chloe Moretz, (controllore)Sacha Baron Cohen, (zio Claude)Ray Winstone, (Lisette)Emily Mortimer, (Sig. Labisse)Christopher Lee, (papà di Hugo)Jude Law, (Sig. Frick)Richard Griffiths, (Sig.ra Emilie)Frances de la Tour.
FOTOGRAFIA: Robert Richardson
MONTAGGIO: Thelma Schoonmaker
MUSICHE: Howard Shore
DURATA: 125 Min
FORMATO: Colore 3D
Quando gli occhi del futuro guardano dal tempo scandito da un meccanismo e il cui passato è già futuro, q uesto, fa sì che, l’inverno dei sogni non diventi ingeneroso.Chi è Georges Meliès? Sapevate di quando il cinema si chiamava cinematografo? Sapevate del Tempo?, di un vecchio giocattolaio che può essere il “Genio” della “Lanterna Magica”?, sapevate del teatrante e dell’illusionista poi divenuto fantascienza? Sapevate che il Tempo dimentica e fa dimenticare, ma che con i suoi meccanismi può tornare al suo punto di partenza?, far rivivere?
Sapevate che nel mondo vi è chi, perennemente, fa girare questo meccanismo con il semplice gesto del girare una manovella o di una chiave a forma di cuore?
Scorsese con ingenuità poetica ci trasporta verso il secondo padre del cinema, dopo i Lumière.
Introduce Meliès con la delicatezza del prestigiatore, della finzione dei mondi, dei "diversi dalla realtà". Lo fa salire sul treno che non s’arresta. Attraversa lo svolgersi magico di una manovella e ci riporta al vagito del linguaggio cinematografico. Diventa lui stesso effetto speciale e assume l’aspetto odierno del 3D, del nuovo trucco dell'esposizione multipla. Noi spettatori con occhiali 3D tocchiamo con mano le aragoste, ci aggiriamo nei meccanismi e nei meandri parigini così come evocati da Isabelle (siamo i novelli Jean Valjean, i nuovi Gavroche), accarezziamo e al contempo scappiamo dal cipiglio indagatore dell’ispettore di stazione e del suo cane.
Gustiamo la trasparenza della casa del Cinema e il colore dipinto a mano direttamente sulla pellicola, com’era ai tempi di Meliès.
È così che Scorsese lo fa diventare tridimensionale. È per chi guarda trasporto onirico.
Il film prende via via spessore di magia e si intersecherà con il padre dell’animazione, quello degli effetti speciali e, ancor più, con l’animato mondo della fantasia frapposta all'inanimato mondo meccanico di un triste robot. Martin Scorsese è il Tempo, è fra sogno e realtà, e, se si è il macchinista di un treno non vi è colpa per una insolita presenza sui binari. Non sempre se ne potrà rallentare la corsa.
di cartone
Se la Storia ci cambia Cristo cala dal cielo di ogni cattedrale,
«É» sconfitto.
E, laggiù l’Africa violentemente vive, mentre in Europa, lentamente, si muore.
di Francesco Pasca
Chi racconta, è risaputo, ha un rapporto molto personale ed intimo con le cose, con quanto si prefigge di portare a termine con un narrare; chi leggerà poi quel racconto resterà, sarà accompagnato dall’attesa di un significato da dare, percepirà con lo scorrere del tempo dapprima le pause poi sarà l’idea che via via prenderà forma e, come per chi racconta anche da parte sua l’approccio diverrà altrettanto personale. Nella brevità di una lettura da locandina cinematografica, di un qualsiasi titolo, così come per l’ultimo film di Ermanno Olmi, “Il villaggio di cartone”, così, quel testo troncato dal suo predicato ed il solo sottolineato dalla sua specificazione, sono stati la mia domanda. In quel normale avvicendarsi di un’idea scritta, condensata nella simultaneità, si è affacciata la domanda, tante le risposte che sono andate a convergere. Un’unica realtà individuabile è stata : “Precarietà”.
Somewhere
Somewhere.
Avete mai visto cosa succede quando si svuota un secchio d’acqua su di una superficie? Avete mai raccontato di cose semplici con uno stile minimalista ed una scenografia neutrale, con toni di melanconia? Avete mai vissuto l’(in)dolenza latente, l’insistita ripetitività? È, o può sembrare complicato; non tutto dipende dal gesto che stiamo per fare, ma dalla superficie sulla quale stiamo per rovesciare il nostro liquido, il nostro fare. Non può farlo il solo racconto se vogliamo intraprendere una via, ma, quel che è giusto, è il raccontare. Non può essere la nostra e sola melanconia che ci portiamo dentro, ma la necessità di tutti.