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il Cavall(ov)ino

Il belato del cavallo

ovvero del Cavall(Ov)ino

di Francesco Pasca

«Iamque rubescebat stellis Aurora fugatis, cum procul oscuros collis, humilemque videmus Italiam…quattuor hic primum omen. equos in gramine vidi, tondentis campum late, candore nivali» (Eneide - Libro II versi 521-522 537-538) con una frettolosa traduzione:«scomparse le stelle, rosseggiava l’Aurora, quando in lontananza scorgiamo oscuri colli e il basso lido dell’Italia. Qui, il primo presagio e vidi in mezzo all’erba quattro cavalli bianchissimi che pascevano.»

La mitologia per prima, la letteratura per seconda, ci ha disegnato meraviglie su cui fantasticare. Ci ha lasciato immagini di Unicorni, di Centauri, di Cavalli alati, di Carri guidati dall'auriga con le quadriglie restituite nei bronzi di Piazza San Marco a Venezia. Ci ha consegnato la biga alata così come raccontato nel dialogo platonico Fedro. Ci ha detto dell'anima riproduttrice di ricordi legati alla vita precedente ed altresì siamo rimasti legati a quel carro guidato dall’auriga. Platone ci ha condotti verso la magnificenza trainandoci con due cavalli: uno bianco, raffigurante la parte della nostra anima dedita ai sentimenti e alle passioni più alte, e un cavallo nero che si trascina a forza la parte della nostra anima coi pensieri più bassi e pesanti, con gli istinti e i desideri. Ma i desideri sono nobili o turpi? Dicono che la biga andasse verso un luogo metafisico a forma di anfiteatro dove risiedono ancora le "Idee". Se dalla mitologia ci giunge l’irrefrenabile fantasia e l’irrequietezza del divino, dalla Storia ci giunge un tempo in cui, in Messapia, era diffusa una specie autoctona di cavallo, l'Equus hydruntinus o cavallo idruntino. Virgilio nell'Eneide, ne contempla quell’esistenza regalandoci la figura dell'eroe mitologico figlio di Nettuno identificandolo come il Messapico e giustapponendolo al cavallo: «Ma tu o Messapo domatore di cavalli...che nessuno né col ferro né col fuoco può abbattere…».

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