Dall'esistenza di un Mito
Dall’Esistenza di un Mito.
Dal Sé di Anna Frappampina
di Francesco Pasca
Il saggio piacere del dipingere è, a volte, generare la stupefacente frattura di una sequenza pittorica mediante l’intromissione di frammenti dettati da un'ancestrale memoria.
È il caso della pittrice dei miti, di Frappampina, tarantina di nascita e non a caso di attuale adozione leccese.
Ricevere esortazione da una visione, specificamente, ad esprimere verità critica sui particolari dipinti dall'artista, della Frappampina, in occasione della sua ultima personale a Lecce mi è stata di ghiotta occasione.
Ricordando l'itinerario da lei suggerito per l'interpretazione delle sue opere e percorrendo le sale della chiesa di S. Francesco della scarpa presso l’ex convitto Palmieri a me non è parso solo vedere ciò che apparentemente o stilisticamente può dare l’apparire adeguato nel semplice, ma al contrario, qualcosa nel sapientemente rappresentato per dar sete e far bere.
Mi si è configurato, da subito, l'escatologico nelle sue innumerevoli sembianze e, nei segni, dove per essere tali ne occorre far comprendere il compiuto dal mito, l'apparente riflesso nell’onirico si è ricondotto in una fantasia per l'immaginario di un reale pittorico.
Nella linguistica pittorica moderna, da enucleare, sono i dipinti proposti alla mia attenzione e, le due chiavi distinte per l'indispensabile, sono divenute approccio alla mostra.
Mi soffermo sulle varianti dei dipinti.
La Frappampina così teorizza la sua tela e la tratta, preferibilmente, a fondo oro con l’accattivante personaggio in posizione frontale o profilato nel volto, a volte velato. Ne dà ancor più suggestiva presenza, per incuriosire.
I dipinti sono una ieratica esistenza materializzata in un elegante nobile, da far rovistare in memoria dei miti e, come in tutte le sue opere, far andare coi rimandi a riconoscerne i primordi.
Da Donna e da Artista da tempo assume e fa assumere visione con il suo operato servendosi dei simboli nelle ragioni e nei germi astratti ed estratti.
Ma non è qui l'intrigo, quanto piuttosto a stupire, è il come da lei rappresentato. Il NUN prodotto, se volete chiamatelo più semplicemente con: “esseri e cose, sospesi, sulle acque in un disordine di creato floreale da contrapporsi all'ordine del non creato”. Se ancor più vi intriga assaporatelo con lo statico frontale nel dinamico di un divenire geometrico, quindi ordinato.
Non appaia un gioco di parole fra positivo e negativo. La geometria di un asimmetrico speculare è sempre sottolineato con la peculiare predisposizione dell'Artista a far assumere anche altra storia nei riguardi di più iconografie egizie.
Dunque, brevemente, il rappresentato non è altro che il "venuto all'esistenza del proprio sé".
Paragonato all'elegante figura femminile di Caterina d'Alessandria, di cui parlerò in seguito, vi è, nella struttura di ogni dipinto, il sottile distinguo tra il valore assoluto e il relativo.
Per la stravaganza di uno o più miti. Frappampina li fa appartenere ad un preciso voluto linguistico pittorico e l'esistenza ieratica delle figure, in uno spazio piatto di un pulviscolo dorato, non è altro che il sottolineare le ragioni del mito e la capacità nel dare giusta collocazione ad una cosmologia eliopolitana.
La presenza su numerose sue opere del disco solare ne è l'evidente sottolineatura.
Ma l'intrigo di un "sé", in un suo tutto (NUN), è stato il saper far affiorare altri miti o rimandi ad altre iconografie o aneddotiche "stranezze" da far collocare come parti del corpo, non solo a uomini ma anche alle variabili di un regno animale.
Il suo sé si scrive per simboli e fa rendere bene l'idea di quanto l'uomo assomigli nel tempo e nelle diverse culture. Per l'Artista è una sorta di Pangea Culturale che unisce le ali di Pegaso alle ragioni di Esculapio e da quest'ultimo giungere ai calzari del Dio Mercurio con il caduceo o alle sorti di un Icaro troppo vicino al sole.
Dipinti, dunque, pronti a fronteggiarsi nel simmetrico e ad occupare le nostre fantasie o sogni.
Di Caterina d'Alessandria è sufficiente ricondursi, nel rimando della sua narrazione, ad e con altrettanti segni simbolici. Il più evidente di questi è la ruota del martirio che diventa il fiore della vita sovrapponibile al simbolo vulvare della mandorla.
L'immagine è veduta con la gentilezza del viso di profilo contornato dalla grande aureola del divino. Il corpo invece è frontale.
Lì, nel dipinto si intrecciano braccia all'altezza dei polsi con gesto di rassegnata sottomissione al martirio avvalorato da mani lunghe e sottili tese ad auto/reggere la ruota del suo martirio.
La composizione è chiusa nel suo centro con la presenza del Fiore della Vita nell'istanza di proteggerla e, verso il basso, le lame assumono forte valenza simbolica in quarti di luna decrescente e crescente e nelle simmetrie spezzate da altro miracolo, da attributi per dar nuova voce al mito.
In Frappampina dunque è la poesia che cresce nella quiete del silenzio, che è notte sin dai primordi ancestrali.
Per la sua pittura la notte è fonda. Del giorno ne fa scrutare l'abbandonato errante di una ragione e l'ottiene con ricerca della luce. Con la carezza delle pennellate ne coglie il colore e il dolore in una cangiata distesa di onirica rappresentazione da tenere stretta per paura del poco.
Da augurarle un continuo buon lavoro.
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