sù-bi-to ... su-bì-to
E …
Se il sù-bi-to non fosse il su-bì-to
di Francesco Pasca
«Tu non conosci il Sud, le case di calce/da cui uscivamo al sole come numeri/dalla faccia d'un dado […] Una funesta mano con languore dai tetti/visita i forni spenti, le stalle in cui si desta/una lanterna o voce impolverata. /Come da un astro prossimo a morire/s'ode un canto dai campi di tabacco. /Sulle soglie, in ascolto, le antiche donne sedute […] di pochi fatti che/rileggiamo/più volte, nell'attesa che ci dia/tutte assieme la vita/le cose che crediamo di meritare (V. Bodini)
Tu che conosci il SUD … Sono le nuove “Foglie di tabacco” quelle “cose che crediamo di meritare”, che già erano del 1945? Tu che guardi, che conosci realmente il SUD, lo erano o sono:” le antiche donne sedute”? Tu che non vuoi nascondere il SUD, sebbene è, sia già da sé tanto nascosto, perché sono, erano: “tutte assieme la vita”, la nostra vita? Oggi sono la probabilità di una ripresa, ma, può essere l’identica a quella sperata nel lancio di un dado? L’abbraccio di un dado? Nell’affermato di un tempo veduto dall’alto, l’inizio di quel tempo è posto in un Paradiso d’incontro, nel loro inizio a due.
la bell'addormentata
Tutti “Belli” e “Addormentati”
di Francesco Pasca
Di Vita e di Quotidiano si vive, così si ammala e muore l’uomo. Sono questi i fattori, da sempre, riconducibili a qualcosa che tocca noi da vicino e a volte si manifestano come “Fiaba”. Come tutte le fiabe, a qualsiasi cultura appartengano, hanno elementi comuni (protagonista, antagonista, ostacolo da superare, aiuto esterno ed estremo, obiettivo da raggiungere).
Siamo pertanto portati ad essere tutti Alice nel paese delle meraviglie, siamo tutti addormentabili o già addormentati. Per questo, vita e fiaba hanno caratteristiche analoghe come l’indeterminatezza. Il linguaggio utilizzato per descrivere è sì da narratori, ma per il popolo, e, per il popolo, si deve essere semplici e diretti.
Ieri sono stato al cinema, ad intrattenere il mio tempo con l’ultima opera a firma di Marco Bellocchio. Ho riletto, a mio modo una “fiaba”. Di quel quotidiano ho rammentato le frequenti prese per mano con: «Cammina, cammina...», «Cerca, cerca...».
Nel leggere quelle sequenze ho pensato che il tempo deve avere caratteristiche proprie e particolari, infatti, nel mio “sogno” non aveva ragione di esistere il tempo, per questo non ho potuto posizionarlo in un periodo preciso o impreciso e, non a caso, l’ho ricordato con «Tanto, tanto tempo fa...», «C'era una volta … in un paese lontano... vicino, vicino …».
Il percorso da me fatto è stato un rito d'iniziazione. Ho pensato - siamo tutti nati e già predisposti per essere o diventare “belli” e “Addormentati”, per subire l’ardire di essere nati.
Hugo Cabret
Se il treno ci corre contro è la fantasia che ci travolge.
di Francesco Pasca
GENERE: Avventura, Fantastico
REGIA: Martin Scorsese
SCENEGGIATURA: John Logan
ATTORI:
(Hugo Cabret)Asa Butterfield, (Georges Meliès)Ben Kingsley, (Isabelle)Chloe Moretz, (controllore)Sacha Baron Cohen, (zio Claude)Ray Winstone, (Lisette)Emily Mortimer, (Sig. Labisse)Christopher Lee, (papà di Hugo)Jude Law, (Sig. Frick)Richard Griffiths, (Sig.ra Emilie)Frances de la Tour.
FOTOGRAFIA: Robert Richardson
MONTAGGIO: Thelma Schoonmaker
MUSICHE: Howard Shore
DURATA: 125 Min
FORMATO: Colore 3D
Quando gli occhi del futuro guardano dal tempo scandito da un meccanismo e il cui passato è già futuro, q uesto, fa sì che, l’inverno dei sogni non diventi ingeneroso.
Chi è Georges Meliès? Sapevate di quando il cinema si chiamava cinematografo? Sapevate del Tempo?, di un vecchio giocattolaio che può essere il “Genio” della “Lanterna Magica”?, sapevate del teatrante e dell’illusionista poi divenuto fantascienza? Sapevate che il Tempo dimentica e fa dimenticare, ma che con i suoi meccanismi può tornare al suo punto di partenza?, far rivivere?
Sapevate che nel mondo vi è chi, perennemente, fa girare questo meccanismo con il semplice gesto del girare una manovella o di una chiave a forma di cuore?
Scorsese con ingenuità poetica ci trasporta verso il secondo padre del cinema, dopo i Lumière.
Introduce Meliès con la delicatezza del prestigiatore, della finzione dei mondi, dei "diversi dalla realtà". Lo fa salire sul treno che non s’arresta. Attraversa lo svolgersi magico di una manovella e ci riporta al vagito del linguaggio cinematografico. Diventa lui stesso effetto speciale e assume l’aspetto odierno del 3D, del nuovo trucco dell'esposizione multipla. Noi spettatori con occhiali 3D tocchiamo con mano le aragoste, ci aggiriamo nei meccanismi e nei meandri parigini così come evocati da Isabelle (siamo i novelli Jean Valjean, i nuovi Gavroche), accarezziamo e al contempo scappiamo dal cipiglio indagatore dell’ispettore di stazione e del suo cane.
Gustiamo la trasparenza della casa del Cinema e il colore dipinto a mano direttamente sulla pellicola, com’era ai tempi di Meliès.
È così che Scorsese lo fa diventare tridimensionale. È per chi guarda trasporto onirico.
Il film prende via via spessore di magia e si intersecherà con il padre dell’animazione, quello degli effetti speciali e, ancor più, con l’animato mondo della fantasia frapposta all'inanimato mondo meccanico di un triste robot. Martin Scorsese è il Tempo, è fra sogno e realtà, e, se si è il macchinista di un treno non vi è colpa per una insolita presenza sui binari. Non sempre se ne potrà rallentare la corsa.
The Artist
The Artist è
La voce del padrone
di Francesco Pasca
Si vuole che il bianco ed il nero siano uniti dal loro improbabile, siano il formato dell’immagine primordiale, poi, eccoli uniti nel muoversi, processati nella nostra fantasia come il susseguirsi di un movimento, poi ancora che s’affacciano nel nuovo realismo o nel reale reale, oppure in quello fatto di fumo, di alcol, di sesso, di espressioni marcate da volti e dalle loro pause, dalle ansie e paure. A volte si piange, e che lacrime. Si accappona la pelle, e che brivido, che paura. A volte solletica, e che rossori. In questo susseguirsi ci ritorna ancora e sempre fantastico come degno di un nuovo realismo o di un ancor più nuovo noir o ancora come un orgoglio quasi irrazionale.
Là, nel B/N, è che si coniuga l’emozione con la Storia. Nel 2011 con The Man Who Wasn't There (L'uomo che non c'era), Usa, 2001 di Joel e Ethan Coen ci hanno raccontato e convinto che tutto questo discorso non è che il bluff del cinema, che tutto è da trovarsi nella poetica dei paradossi del reale. Per chi sa di colori, il bianco sa che è somma, e, con il nero, il non colore, questi estremi di luce s’accompagnano sino alla negazione degli eventi da loro generati o s’affacciano a nuove possibilità, s’amalgamano in strane e meravigliate forme, generando così uno strano colore-calore. Per definizione divengono lo scrivere di un’emozione prospetticamente infilata nell’imbuto della nostra Storia. In cinematografia, la fotografia si riprende così quel che, per il suo archetipo è l'anacronistico del ciò che è muto e parla del passato, si fa restituire la forza eletta dal Vero.
Nel mio ozio sono stato a prendere visione di The Artist. Ho assaporato la delicatezza del B/N.
di cartone
Se la Storia ci cambia Cristo cala dal cielo di ogni cattedrale,
«É» sconfitto.
E, laggiù l’Africa violentemente vive, mentre in Europa, lentamente, si muore.
di Francesco Pasca
Chi racconta, è risaputo, ha un rapporto molto personale ed intimo con le cose, con quanto si prefigge di portare a termine con un narrare; chi leggerà poi quel racconto resterà, sarà accompagnato dall’attesa di un significato da dare, percepirà con lo scorrere del tempo dapprima le pause poi sarà l’idea che via via prenderà forma e, come per chi racconta anche da parte sua l’approccio diverrà altrettanto personale. Nella brevità di una lettura da locandina cinematografica, di un qualsiasi titolo, così come per l’ultimo film di Ermanno Olmi, “Il villaggio di cartone”, così, quel testo troncato dal suo predicato ed il solo sottolineato dalla sua specificazione, sono stati la mia domanda. In quel normale avvicendarsi di un’idea scritta, condensata nella simultaneità, si è affacciata la domanda, tante le risposte che sono andate a convergere. Un’unica realtà individuabile è stata : “Precarietà”.