Quali semi?
Ai semi dell’anno
Francesco Pasca
27 dicembre 2011, ore 22.34.
Macbeth e Banquo fanno considerazioni sul tempo e sulla loro disputa divenuta vittoria. Tre streghe compaiono e, pronunciando profezie, si rivolgono dapprima a Macbeth: La prima saluta attribuendogli il titolo di Barone di Glamis, la seconda come Barone di Cawdor e la terza preannuncia che diverrà re in futuro …
Caro seme del Tempo,
scrivere di un anno è costruire il già costruito e, con la stessa passione, è descrivere ciò che si è conosciuto e a volte dimenticato. L’oraria classica pesca in questi giorni nel tradizionale, affonda a piene mani nell’astrologia e la compara con quanto appena un anno fa si è detto e si è letto. Avviene così la decantazione del soddisfatto e dell’atteso mai giunto. Anche questo giro di 365 giorni è l’ennesimo giro in tondo dei 360, appena differenti nei numeri, ma molto si è appreso dagli autori dell’ultimo passato, accade da sempre.
Caro seme, le letture portate a termine divengono, poi, la guida al contemporaneo, ti assecondano il pensiero, ne riscopri la traccia lasciata nel leggere, rivedi l’appunto a margine appena sfiorato dai colpi di lapis che andava via via appuntito, accorciato, definitivamente sostituito da un altro.
Per questo ho atteso l’ultimo tragitto dell’anno, l’ho atteso per parlare di un testo acquistato all’inizio di gennaio e letto a dicembre. Non avrei potuto fare diversamente, ne parlo oggi, non avrei potuto parlare prima di averlo letto. A te sembrerà scontato come il concludersi dell’anno, ora che sta per essere rinominato. Per me, per chi si lascia andare dal caso e non per caso, non è normale, è forse l’osservazione, il commento fatto di una previsione, oppure quella uguale alle streghe di Banquo nel Macbeth di Shakespeare. Oggi, caro seme, studio la natura dei tuoi semi ed il terreno sul quale attendo il germogliare. Dal seme e dal tipo di terreno potrò avere un’idea della probabile pianta e del suo farsi caso nel crescere. L’improbabile o probabile tua nascita è data dal narratore, da colui che raccoglie e trasforma. L’esperienza è del lettore, ma, come scritto da Walter Benjamin, il narratore è morto e il suo pensiero non è dato conoscerlo abbastanza né preventivamente. Il seme dal quale ho l’inizio, e ne scrivo, è quello scaturito, per l’appunto, dal pretesto di un altro pretesto, quello scritto nel 1936 per l’opera di Nikolaj Leskov. Il saggio l’ho riletto in questi giorni, è “il narratore” Di Walter Benjamin, quello scritto nel 1936 per il giornalista e scrittore russo nato a Gorohovo il 16 febbraio 1831 e deceduto a San Pietroburgo il 5 marzo 1895. Le note e i commenti, a sua volta, sono di Alessandro Baricco. Due pretesti e tre opportunità in un colpo solo.
Caro seme,
il testo è un Super ET, un tascabile di pp.105 stampato dalla Casa editrice Einaudi presso Mondadori Printing S.p.a. Stabilimento N.S.M. Cles (Trento) nel mese di gennaio 2011. Il Piacere è la narrazione o meglio la costruzione del narratore, di chi si occupa del “sortilegio della parola”. La considerazione di Baricco è la selezione dei narratori, ed è proprio la configurazione del come sia divenuta indispensabile l’esclusione del reale dal pertinente e di come la realtà non aiuta più alla lettura a far diventare mia la sua attrattiva. Benjamin comprendeva la difficoltà per la narrazione. L’addebitava alla venuta di una nuova forma che è l’informazione. Considerava il venir meno dell’esperienza e così si esprime:«ogni mattina ci informano delle novità di tutto il pianeta [...] si consuma tutto nell’istante della sua novità [...] vive solo in quell’istante». Dal caos universale, presumibilmente lì tutto esiste ed è compreso, si perviene ad un micro cosmo ordinato dove l’indispensabile diviene l’informazione, la stessa fonte tradizionale descritta col numero dei giorni e dei gradi per compiere l’intera rotazione, come l’attribuire l’origine e destinarla ai singoli confini di un caso certo diviene il risultato. Condivido quando Benjamin ha scritto:«è sempre più raro incontrare persone che sappiano qualcosa come si deve: e sempre più spesso si diffonde l’imbarazzo quando, in una compagnia, qualcuno esprime il desiderio di sentir raccontare una storia.» ed ancora: «L'arte di narrare volge al tramonto perché vien meno il lato epico della verità, la saggezza […] un fenomeno concomitante di forze produttive storiche, secolari, che a poco a poco ha espulso la narrazione dall'ambito del discorso vivo e insieme fa percepire una nuova bellezza in ciò che svanisce». Sta per trascorrere un anno ormai da considerare vecchio e, come scrive Baricco nella nota di pag. 54: «Per questo, quando il narratore sente il bisogno di rifarsi al suo paesaggio di riferimento, altro non può fare che registrare la processione di nascite e morti […] sembra nulla, ma è ciò che dà autorità alle sue storie, perché le riporta a un divenire collettivo e trascendente che dà loro una solennità imprevedibile …» Comunque, in ogni lettura assegno al racconto il significatore del me richiedente, ma quel che non approvo è che non ho ancora trovato alcuna realtà.
Con affetto e semina.
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