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CHI e a CHI

Categoria: arte Pubblicato: Domenica, 22 Maggio 2016 Scritto da Super User

Terrorista a Chi e Chi?

 

di Francesco Pasca

 

Da tempo ormai siamo interrogati sul significato di “sicurezza”. Ad ogni increscioso incidente torna il refrain: Ma i nostri luoghi di imbarco per il mondo sono sicuri?

La nostra vita nelle ordinarie faccende è sicura?

Dalla seconda domanda distraggo la mente e da un generico pericolo rimbalzo alla prima domanda e per aver vissuto per Luoghi di imbarco, forse, più intensamente negli ultimi mesi.

Per gli addetti, intendo per i preposti al servizio di vigilanza e per le notizie nei media la risposta nel generico è stata sempre “molto sicuri”.

La risposta da me avvertita è all’opposto: “niente affatto sicuri”.

Fra un sì ed un no parrebbe che la differenza sia di natura epidermica e in una differenza non si possono mettere in discussione gli apparati elettronici ed umani adottati per una sorveglianza.

Fra un sì ed un no sia pure di natura epidermica resta l’abisso, l’uguale dello sprofondare da undicimila metri e non conoscere se si sarà raccolti con l’ugual sì di una “sicurezza”. 

Perché l’affermazione?

Diciamola in punti, in un itinere.

  • Ancor prima dell’imbarco esiste una lista di passeggeri. Desumo che si facciano dei controlli preventivi sulla affidabilità di chi si imbarca. Il come effettuare i controlli non sta a me stabilire ma sono certo che, in un mondo dove privacy è l’omologo di una loro “privacy”, è facile desumere.
  • All’imbarco avviene, quindi, il controllo con l’esibizione della carta d’imbarco e del documento di riconoscimento. Si suppone che, se vi è stato riscontro preventivo, tutto ritorna all’ordine dell’esatto conoscere con l’avvenuto incrocio di dati fra possessore nominale di carta d’imbarco e possessore nominale di carta di riconoscimento.
  • Nel procedere, al fine di ulteriore riprova, si controllano bagagli a mano ed effetti personali, sulla persona. Nell’accurato a volte ci si spoglia e si supera così il primo di quei confini.
  • Da quel momento, che personalmente definisco Limbo, si è liberi di circolare, vagare, prendere anche un caffè e una boccetta d’acqua per l’impossibilità precedente di introdurre liquidi in contenitori, colloquiare con altri passeggeri da gate a gate e quant’altro.
  • Non resta che attendere la chiamata d’imbarco.
  • Finalmente e all’orario stabilito il richiamo vocale per l’effettivo imbarco, quindi, coda al gate e il nuovo controllo dei documenti. Si suppone che rivenga fatto il riscontro incrociato della lista già appurata con l’appurato all’imbarco.
  • Si attraversa il gate e si parte. Naturalmente, in itinere, se vi è stato uno o più passeggeri che hanno inoltrato i bagagli non a mano quest’ultimi saranno stati, ovviamente, passati al vaglio di altro personale e stivati.

Descritti di massima i passaggi obbligati sembrerebbe tutto in ordine. Ma perché resta sospeso il NO di un: “affatto sicuri?”

Semplice. Dal Punto 1 al Punto 7 non vi è certezza se, come ho personalmente riscontrato l’umano preposto, non vi si è posta attenzione a controllare che al passeggero fisico corrispondesse la fisicità del documento proposto.

Del mio “semplice” ne sono certo per aver riscontrato un non ben che minimo sguardo incrociato o serio controllo, nulla vi è stato mai fra il me me e il documento esibito.

(Chiunque può attraversare il gate ed essere esattamente il contrario di quanto previsto con il punto 2 e con il punto 6.)  M’è sembrato, nell’epidermico, sufficiente presentare carta d’imbarco e documento e persino supporre, il fisicamente, di andare a Madrid anziché a Milano. Sufficiente sarebbe stato l’esibire e, per scambio con altro passeggero, mostrare la carta d’identità e la carta d’imbarco per quel volo.

Probabilmente la “cieca” fiducia, da tempi biblici, ha avuto ragione e continua ad averla sull’uomo per l’uomo.

Fortunatamente ai fini di una sicurezza, per me, tutto potrà essere stato sotto controllo ma è l’impressione che ha contato e contano anche gli angosciosi perché: Ma i nostri luoghi di imbarco per il mondo sono sicuri?

La nostra vita nelle ordinarie faccende è sicura?

Dagli interrogativi, spontanea la mia nota.           

Per gli altri.

Kamikaze il limite in azione e morte, nell’uguale del chi e a chi.

Sì! Ho pronunciato proprio il “CHI” è. Nell’azione di un limite vi ho trovato la volontà nell’insospettabile ragione di (luogo) e di (umano), nell’altrettanto “uguale”.

Così resta nell’uguale il sottoscrivere, il dato del sottoscrivere a chi.

Uguale, Azione e Morte, dunque, è il trinomio di principio razionale che dà coesione, paradossalmente vita, in tutto quel che, notoriamente, è l’universale nel soggettivo.

Chi legge di Vangelo e di Corano, giusto per rimanere nel monoteismo, sa ch’è sufficiente non porsi con pigrizia e intrattenersi per non confondere i derivati da una Bibbia.

Se Kamikaze è il termine per sacralità e religione, allora, al chi ne Atterrite.

Kamikaze è la Bibbia e quel che troviamo a valle è quel che proviene dal monte.

La mia Bibbia, l’attuale in rilettura, è delle edizioni paoline 1990 e s’accompagna per amenità e ricordo con altra Bibbia, quella della mia infanzia, a fumetti.

Gli illustri commentatori della prima e il disegnatore della seconda, spero mi perdonino per le intemperanze interpretative, per le mie solite astrusità discorsive derivate esclusivamente coi e per propri intendimenti.

Non è comunque nell’intenzionale distorcere ma, nel necessario, è caracollare per comprendere al massimo quel ch’è sacrale e giunge all’estremo di un sacrificale e, nell’oggi, non appaia strano vederlo condiviso, da alcuni, in gioco multimediale, come lo è stato per i CheffouAmeroudLaachroui e per gli IbrahimElBakraou e per i SalahAbdeslam, per gli altri.

Nel mondo voluto globalizzato, meglio dire banalizzato, le immagini e le parole occorre separarle in altrettante immagini e parole e costruire la propria identità anche con altrettante e diverse parole in conseguenza.

Kamikaze sebbene parola giapponese è termine che ritrovo nell’uguale ad occidente con: “vento divino”. Lo è nella coppia tra il kami shintoista e il kaze nell’altrettanto uguale dall’essere “soffio”, “vento” (… soffiò, insufflò sul suo volto un soffio vitale, e l'uomo divenne un essere vivente - Gn 2, 7).

La Vita a sua volta è per vederla separata in due con ka e ze e per esser anche “morte” di un ka ch’è per “inspirare” e di uno ze ch’è per “espirare”.

In questo via vai fonosemantico si innesta il termine poco compreso, tutto occidentale, di Terrorista.

Per noi occidentali, Terrorista, è lo stranamente, il voluto e il sovrapposto a Kamikaze, ovviamente, in un grossolano errore.

Fatta la premessa indaghiamo l’oscuro di un’azione di un chi e di a chi e dove trovarlo.

Da Sapienza 1,1:

(Amate la giustizia, voi che governate la terra…)

Giustizia è conseguenza in una azione e la si trova col dapprima, con il pensiero che la muove.

Governare è l’uguale ritrovabile sempre in una azione e, anche se verbo dettato da follia è pur sempre pensiero, probabilmente, smarritosi nei labirinti di una ragione.

L’azione dell’Amare amalgama e s’innesta e può essere suggerita e ammessa dalla ragione o indotta da altrui pensiero o ragione e, a sua volta, per l’umano ha sempre avuto motivo per essere ritenuta attuabile.

Terra è da sempre la promessa o la desiderata, la concessa o la mai data.

Detto ciò, se l’azione è la manifestazione del gesto, ch’è a sua volta il retro pensiero di un’azione, allora è utile distinguere la convinzione di chi e a chi e il perché la esercita o la induce e cercare meglio in altra ragione strumentale.

L’Azione? Il pensiero del condurre il fenomeno alla chiarezza di un gesto o di un motivo per un chi e a chi.

Leggo da Sapienza 1,12:

(… Smettete di cercare la morte con gli errori della vostra vita, e di attirarvi la rovina con le opere delle vostre mani …)

Dal momento che, non un trattato filosofico o sermone domenicale voglio fare o di cui parlare consentitemi la contemplazione della frase appena circoscritta fra parentesi.

Come i tanti non smetto e come i tanti ritorno a cercare l’azione, la vita e la morte e mi addentro ulteriormente fra le parole della mie due Bibbie.

In Prologo - Giobbe 1,13.

Venne un messaggero da Giobbe e disse:

(“Mentre i buoi stavano arando … irruppero i Sabei… Io solo sono scampato per venirtelo a dire…”)

Venne un secondo messaggero da Giobbe e disse:

(“Il fuoco di Dio è caduto dal cielo … Io solo sono scampato per venirtelo a dire…”)

Venne un terzo messaggero da Giobbe e disse:

(“I Caldei, divisi in tre gruppi, si sono precipitati sui cammelli, lì hanno preso e passato a fil di spada i guardiani. Io solo sono scampato per venirtelo a dire …”)

Venne un quarto messaggero da Giobbe e disse:

(“I tuoi figli e le tue figlie stavano ancora mangiando e bevendo vino nella casa del loro fratello maggiore, quando un vento impetuoso venendo da oltre il deserto investì i quattro angoli della casa; questa cadde sui giovani, che sono morti. Io solo sono scampato per venirtelo a dire…”)

Mi par di capire che vi è stata un’azione o più azioni coordinate da una volontà superiore. Nella ricerca del principio o fine di una scatola cinese, nel certo, vi è comunque il principio superiore di un Signore per farne scaturire una ragione o farsene una ragione.

Sempre In Prologo – Giobbe 1,19

Troviamo le parole dello stesso Giobbe:

(… “Nudo sono uscito dal ventre di mia madre/ e nudo vi farò ritorno! / Il Signore ha dato e il Signore ha tolto. /Sia benedetto il nome del Signore.” …)

Sempre in Prologo – Giobbe 1,22

(… In tutto ciò Giobbe non commise peccato né proferì alcuna insolenza contro Dio …)

Dunque, Dio ha dato e tolto e il kamikaze-terrorista ha assecondato o eseguito e, in una azione con: “io solo sono scampato per venirvelo a dire e andare a cercare, leggere il libro di Giobbe.

Fra le ragioni per la sofferenza innocente ciò s’è reso necessario ed è stato la condizione umana del passeggiare fra le parole e possedere le stesse al buio di una lettura, del brillare sopra la luce delle parole e possederle al buio, dell’attribuire un CHI e un a CHI cercando un Dio ch’è rifugio.

Ancora, e leggo in Prologo dal: Dialogo tra Giobbe e i tre amici, primo ciclo di discorsi, Giobbe 5,2.

(“… In verità, il dolore reca la morte allo stolto/e la collera fa morire l’inesperto …)

In lettura di una Bibbia, io solo, nel limite di un’azione, sono scampato o se preferite non mi son fatto volare dal “soffio” divino con: “io solo e col mio limite ho scritto e per venirvelo a dire”.

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