La singlossia nel racconto
Poesia qualepoesia/13: La singlossia nel racconto
dalla Rubrica su PugliaLibre a cura di Francesco Aprile
Francesco Pasca è nato a Sanarica, in provincia di Lecce, l’undici giugno del 1946. Pittore, dal 1963 è attivo nelle arti visive tra informale e neocostruttivismo, mentre nel ‘68 è a Firenze dove frequenta il Centro Tèchne di Eugenio Miccini, entrando in contatto con la poesia verbo-visiva e le sperimentazioni intermediali del periodo. Di lì a poco stringe un buon legame con i pittori Giovanni Corallo, Salvatore Fanciano e Bruno Leo che a Lecce, nel 1971 in collaborazione con Eugenio Miccini, avevano dato vita alla rivista “Gramma”. Pasca sarà presente negli ultimi numeri della stessa, manifestando comunque una presenza importante al fine della successiva nascita del Gruppo Gramma, avvenuta in seguito alla mostra “Verifica 76″ curata a Lecce da Toti Carpentieri. Nel 1979 aderisce al manifesto della Singlossia redatto dalla semiologa Rossana Apicella, curandone con la stessa la stesura. Dagli anni ’80 la sua operatività è riversata sui versanti della Singlossia in quella che lo stesso autore definisce, in nota biografica, “stagione post-poetica visiva”. Dalla morte della Apicella, prosegue lo sviluppo del tracciato singlottico definendo la ricerca che ancora oggi lo caratterizza come “Singlossia nel racconto”, la quale trova un più ampio sviluppo a partire dal 2005 con la pubblicazione di svariate opere letterarie. Nel 2010 aderisce al movimento letterario “New Page. Narrativa in store”, fondato nel 2009 da Francesco Saverio Dòdaro. Ha fondato, con Maurizio Nocera e Francesco Carrozzo, la rivista “Diversalità poetiche”. Oggi il suo percorso si evolve nelle relazioni fra parola, gesto e nuove tecnologie, rinnovando l’impulso della ricerca singlottica sui versanti del segno e della comunicazione, tanto da definire questa fase come del “Segno nell’In e l’Out del gesto”, producendosi in uno sforzo creativo che guarda alla radice neocostruttivista della sua pittura relazionata alla parola e alle tecnologie digitali.
Il terreno sul quale si muove l’operatività di Francesco Pasca è in una forma più duratura, dal ’79 ad oggi, quello della Singlossia. Ciò che è rivendicato dagli autori della Singlossia è il superamento di quello scenario che vede nelle ricerche verbo-visive il relazionarsi fra immagine e parola, nell’oltrepassamento della scissione fra una civiltà della scrittura e una dell’immagine, il conseguente ingresso delle dinamiche pubblicitarie nel discorso poetico, il quale, a detta degli autori singlottici, rimarrebbe in un certo senso ancorato ad «una matrice poetica di tipo idealistico, anche se, come abbiamo detto, essa si esplica e rifonda un modello “altro” di poesia. Parliamo, appunto, della citata Poesia visiva e Concreta, e questa remora ha finito per costituire un limite e la necessità di un suo superamento. Si arriva così alla più recente operazione del linguaggio ideativo acutamente e risolutivamente teorizzato, praticato e sostenuto dalla compianta Rossana Apicella, attraverso le ipotesi e i postulati della Singlossia, dove il visivo e il verbale non possono essere scissi. Un linguaggio di ricerca e di riscontro, di attuazione non soltanto sulla pagina del libro o su qualsiasi altra superficie fissa, ma praticabile dovunque, soprattutto negli scenari urbani. Una ricerca, come precisava la stessa Apicella, che si propone di “non chiudere nessuna area di esperienza”», scriveva il critico e teorico Francesco Carbone nel 1985 in occasione della presentazione del numero 19 della rivista Intergruppo-Singlossie, a Palermo.
In questo senso è stretto il legame tra Francesco Pasca e il poeta e teorico siciliano Ignazio Apolloni. Come Apolloni, Pasca affronta un percorso letterario e singlottico dove il luogo della parola risulta essere uno spazio della ragione. Se Apolloni guardava – si pensi alle “Sketch poesie” – al fumetto, al lettering, al tutto tondo, Pasca mette in scena, cartesianamente, una riflessione sul sé stesso uomo e autore che vuole essere anche una riflessione sul mondo. L’immagine dei disegni e della calligrafia d’infanzia diventano motivo centrale di una ricerca che assume le coordinate di un “Ego-estetico” dove il gesto risulta “immobilizzante” e l’ego “avvolgente” secondo una prassi estetica che lo vede saltare fuori dall’opera, agendo negli spazi urbani con performance e opere che si inseriscono nello spazio ad un livello installativo. In questo senso le sue ricerche più recenti, dette dell’In e l’Out del gesto, producono un linguaggio in cui il neocostruttivismo pittorico, digitalizzato, si esprime nell’input tecnologico nel quale si relaziona alla parola e nel suo output vede la propria tessitura geometrica dissolversi in una resa pixelata che conserva, sul piano strutturale, elementi di costruzioni urbane, elementi naturali ecc. Il piano logico, razionale, è rafforzato dall’esperienza del gioco, logico, che l’autore mette in scena. Il palindromo, promosso sul versante letterario, è trasferito nel linguaggio visivo in una pittura-codice che gioca sui piani dell’esoterico ed essoterico. Il quadrato del Sator ritorna nell’opera dell’autore esplicitato in termini cromatici, liquefatto nelle geometrie dell’opera che sembrano custodirlo gelosamente.
La “Singlossia nel racconto” si sviluppa nella resa sincronica e diacronica della parola, nei suoi legami con il piano logico-scientifico che assume connotati metafisici demistificati nel mistero esoterico, nella pratica continua di una parola che l’autore intende affidare ad una simultaneità di intenti, fra segno, immagine, colore, piano logico e piano misterico, il tutto corredato da evidenze provenienti dagli ambiti delle avanguardie storiche, simultaneismo (i suoi rimandi alle teorie scientifiche, il contrasto simultaneo dei colori al fine di creare movimento), futurismo (l’utilizzo delle onomatopee e il riferimento a figure meccaniche). Il dato “simultaneo” che nell’opera visiva si evidenzia nei contrasti cromatici, si delinea, invece, nella dimensione letteraria a partire dalla compresenza stilistica e contrastante di stilemi ora logici, razionali, esplicativi, argomentativi, ora ossessivi onomatopeici e in “libertà” sulla pagina. Non a caso, a suo tempo, Henri-Martin Barzun considerava la “simultaneità” in termini di polifonia. La stratificazione letteraria di Pasca è la messa in opera di voci plurime che tentano di annidare nella parola, ricorrendo a quelle forze messe a disposizione dal Novecento, quella condizione amplificata che la stessa troverebbe altrimenti nelle sue relazioni intermediali. L’elemento logico, eletto a condizione metafisica, riflette e mostra una “spiritualità formale” emersa dal dato misterico della parola e al contempo dai cromatismi “palindromi” dell’autore.